GerusalemmeLa simmetria dei due episodi di violenza di ieri in Israele disegna il peggiore degli incubi: la guerra di religione, peggiore del conflitto territoriale che forse, poi, alla fine, può presupporre una soluzione il cui logoro slogan è «due Stati per due popoli». Nella stessa giornata una moschea è stata data alle fiamme vicino a Ramallah, ad Al Maghir, un punto di continua frizione fra palestinesi e settler . Il sindaco sostiene che i coloni sono colpevoli dell'atto vandalico, e si rifà a un altro incendio, ad Aqraba, il 13 ottobre. Nella stessa notte una bottiglia molotov ha colpito le antiche mura della sinagoga a Shfaram, in Galilea. Il fuoco non ha causato danni gravi mentre ad Al Maghir fra il primo e il secondo piano si vedono pagine del Corano e suppellettili bruciate. Il danno più grave tuttavia lo testimonia il sindaco Faraj al Naassaneh, che è sicuro della colpevolezza dei membri di un gruppo fuori legge chiamato «Price tag», un nome che vuole indicare il prezzo del danno portato dal governo israeliano quando sgombera e distrugge gli insediamenti illegali, ma anche quello degli attacchi arabi alla popolazione israeliana. Se sono stati loro, si tratta di un gruppo di un centinaio di fanatici aggressivi e spesso razzisti, già bloccati e processati in alcuni casi. Molti dicono: non abbastanza. Il capo del consiglio regionale della Samaria Gershon Mesika però difende i settler : «Abbiamo già visto per la moschea che fu bruciata a Tuba-Zangariyye che proprio uno dei residenti arabi appiccò il fuoco per creare la provocazione». Mentre la polizia indaga, a Beit Safafa, un sobborgo arabo di Gerusalemme, sono apparsi graffiti antiarabi. Gli scontri non sono mai cessati dopo il giovane ucciso ad Al Arroub vicino all'incrocio di Gush Etzion, dove è stata pugnalata a morte due giorni fa una ragazza ebrea di 25 anni, mentre un soldato è stato ucciso a Tel Aviv.
Domani, venerdì, la Moschea di Al Aqsa sarà di nuovo al centro dell'attenzione malata del Medio Oriente, ormai ubriacato dalla guerra di religione dell'Isis. La febbre si sente anche qui. Abu Mazen non osa tirarsi indietro adesso che il suo campo è tutto acceso all'idea che Israele voglia impossessarsi della Spianata delle Moschee, né condanna gli attentati di cui glorifica gli shahid . Nessuno getta acqua sul fuoco. Ha preso piede nei giorni scorsi il Movimento Islamico in Israele guidato dallo sceicco Raed Salah, che convoca raduni e emette comunicati, annuncia che «non sventoleremo la bandiera bianca e non abbandoneremo il dovere di proteggere la moschea di Al Aqsa». I terroristi vengono glorificati nei suoi discorsi come martiri ed eroi, proprio come fa Hamas. A Hamas, Salah sembra legato a doppio filo, ha gestito l'organizzazione «Gerusalemme per lo sviluppo» che raccoglieva denaro finché è stata chiusa in luglio come «fronte legale delle attività di Hamas». Ma certo non dei soldi di Salah Hamas ha bisogno. Un articolo su Israel Forbes documenta che, dopo l'Isis, che ha un budget annuale fra i due e i tre miliardi di dollari, Hamas è la seconda organizzazione terrorista per ricchezza, con un miliardo. Viene prima del Farc colombiano con 600 milioni, di Hezbollah con 500, dei talibani con 400, di Al Qaida con 150. Vengono dopo i pakistani Lashkar e-Taiba e Al Shabaab, poi l'Ira con 50 milioni e Boko Aram con 25. Sono dati che ci danno la dimensione della menzogna cui siamo quotidianamente sottoposti dalla propaganda sul volto pietoso e disperato di Gaza.
Il denaro arriva dai fondi dei donor (fra cui anche l'Unione europea e gli Stati Uniti) che non si riesce a controllare, dal Qatar e dall'Iran e - secondo le fonti di Forbes - dai traffici illegali, compreso quello della droga. I donor , subito dopo la guerra, hanno promesso 4 miliardi di aiuti, ma dove andranno se non nelle tasche di Hamas? Se si guarda alla popolazione di Gaza, in stato di miseria e sofferenza, e si compara ai fondi di Forbes , si capisce dove finiscono i fondi per Gaza. Hamas sembra preferire spenderli in armi e terrore, o dirottarli nelle tasche dei leader che, secondo numerose fonti, possiedono ville, terreni, investimenti. Ismail Haniyeh, secondo l'egiziano Rose al Yusuf, ha pagato nel 2010 quattro milioni di dollari per un terreno sul mare registrato a nome della figlia.
Il figlio fu fermato dagli egiziani al confine, carico di soldi in contanti da introdurre a Gaza. Forse glieli avevamo dati noi per coprire quelle famose fogne a cielo aperto, che invece restano là mentre Hamas prepara la prossima guerra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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