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"I leader del centrodestra siano loro pacificatori: non serve uno da fuori"

Lo storico: "Basta spacconate sulle spallate, ma non vanno archiviati Meloni e Salvini"

"I leader del centrodestra siano loro pacificatori: non serve uno da fuori"

Paolo Mieli, già all'indomani della nascita del governo Conte bis e dell'alleanza tra Pd e M5s, lei aveva parlato di un bipolarismo dal quale non si torna indietro. Quali segnali l'avevano convinta?

«Sul centrodestra c'era già l'evidenza, perché era unito e pronto ad andare così alle elezioni e i 5stelle optarono per buttarsi a sinistra. Fu chiaro che per loro non era possibile tornare indietro, che l'ambiguità grazie a cui erano stati grandi raccoglitori di voti sarebbe finita. Hanno accettato i vincoli economici, l'Europa, tutto quello che chiedeva il centrosinistra per una collocazione di campo. Quando accetteranno il Mes, pur cambiandogli nome, il percorso sarà completo».

Perché gli italiani dopo cinquant'anni di Dc, dal 1994 sembrano diventati allergici ai partiti di centro?

«Perché la Dc non era un partito di centro ma un contraltare alle sinistre e ai comunisti. Come intuirono già Giorgio Galli e Giovanni Sartori, gli italiani erano bipolari senza saperlo. Anche Forza Italia si definiva un partito di centro ma lo hanno sempre votato gli anticomunisti. Non è mai esistito un centro: il partito si qualifica anche per lo schieramento a cui si oppone».

La sondaggista e opinionista Alessandra Ghisleri ha detto al «Giornale» che al centrodestra serve una leadership pacificatrice.

«Concordo. La destra concitata, che a ogni elezione dichiara che vincerà tutto, che parla sempre di spallata, ora dice che riconquisterà Roma e Milano. Ma se non le riconquistano hanno chiuso perché queste spacconate puoi farle una volta, due, ma la terza volta la gente non ti ascolta più. Il centrodestra è un'automobile forte, competitiva, probabilmente vincente ma a furia di ammaccature va in garage».

Chi può farle il tagliando e aprirle nuove strade?

«Non credo al leader pacificatore, devono provare a farlo loro. Non consiglierei mai uno da fuori. Magari ha le idee più giuste del mondo ma non sa raccogliere consenso, come è accaduto a sinistra con Dini e con Monti. Prima di archiviare Meloni e Salvini ci penserei bene, serve qualcuno di consenso provato».

In quale direzione dovrebbe guardare il centrodestra?

«Lì dentro ci sono persone come Giorgetti, che ha messo il dito sulla piaga dell'astensione della Lega all'Ue sul voto contro Lukashenko. Così la gente sospetta chissà che cosa. Berlusconi era amico di Putin più di loro ma è sempre stato chiaro che fosse filoccidentale. Loro non sono affidabili con le cancellerie europee e nemmeno con Trump. Salvini ha fatto bene solo con Israele ma persino passi del genere, se non prendono anima in un contesto più elaborato di cambiamento, sembrano furbate».

Salvini ha parlato di una Lega del buon senso. Esiste questa possibilità o sovranismo e populismo sono un'etichetta che non si scolla?

«Se vuole cambiare, deve dare evidenza e coerenza a questo cambiamento. I comunisti negli anni '70 crearono uno choc nel mondo. Berlinguer operò un taglio assai più traumatico di quella che sarebbe una svolta più europeista facile per Salvini. I grandi leader seppero sempre fare svolte come Craxi nel 1978 col cosiddetto saggio su Proudhon e quando levò falce e martello dal simbolo del Psi».

Quale svolta si attende dal centrodestra?

«Salvini deve trovare uno spazio di interlocuzione con i liberali e non con le ultradestre europee, perché così sono su un binario morto. I loro elettori non lo vedono ma tra un po' lo vedranno. I comunisti pagarono un prezzo altissimo per il loro no al piano Marshall e adesso trovarsi a essere gli ultimi a dire no al Mes con teorie bislacche li mette nella stessa situazione dei comunisti degli anni '50».

Nel suo recente libro «La terapia dell'oblio. Contro gli eccessi della memoria» lei sostiene che arriva un momento in cui bisogna rimettere in ordine le proprie idee. Quali idee dovrebbe rivedere il centrodestra?

«Con il Covid in Europa è cambiato tutto. Il tema dei migranti: un anno fa sembrava non potesse entrare un solo migrante, adesso è diventato un tema secondario. In generale le idee che animavano la destra italiana vanno riviste, aprendosi a chi studia, come è accaduto nel 1994 con Giuliano Urbani e Antonio Martino, che possono contribuire anche oggi. Gli intellettuali sono necessari come apripista del cambiamento: penso a persone vicine o non pregiudizialmente contrarie come Giovanni Orsina, Angelo Panebianco, Luca Ricolfi. Li riuniscano in convegno, ma non per farli diventare deputati, per spiegare alla destra come è cambiato il mondo e qual è il terreno che dà più prospettive».

Lei che ne dice: com'è cambiato il mondo?

«La Brexit oggi non ci sarebbe, i partiti che protestano contro l'Europa matrigna, ora che l'Ue ha allentato i cordoni della borsa, non hanno senso. Berlusconi ha capito queste cose, ma naturalmente, poiché per metà è in uscita dalla politica, cura quel che resterà della sua eredità. Salvini e Meloni non hanno il coraggio di compiere la svolta».

La legge elettorale va cambiata subito o la priorità è l'economia?

«Si possono fare tutte e due le cose. Chi dice che la priorità è economica lo fa perché vuole rimandare il voto: metà dei signori ora in Parlamento non tornano. Preferisco il maggioritario ma anche un proporzionale con soglia al 5.

Con il 3% la destra non governerà mai perché poi una quota si staccherà, Salvini e Meloni faranno un bell'autobus da soli e tutti gli altri un governo di finta unità nazionale».

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