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I soldati italiani nella trappola Isis: cinque feriti per una bomba

Foto d'archivio
Foto d'archivio

Due cose sono certe. Gli incursori della Task Force 44 non erano lì per caso, ma seguivano un'operazione finalizzata a individuare una o più cellule dell'Isis. E sono caduti in una trappola preparata dagli stessi militanti dello Stato Islamico per neutralizzare chi violava i loro territori e cercava di individuare i loro nascondigli.

Per capirlo basta analizzare la dinamica dell'imboscata ricostruita attraverso varie fonti del Giornale. Secondo queste fonti nella tarda mattinata di ieri una pattuglia interforze costituita da incursori del Nono Reggimento Col Moschin e del Goi (Gruppo Operativo Incursori Comsubin della Marina) sta completando un pattugliamento a piedi assieme ad un gruppo di peshmerga curdi a Palkana, una località nella zona dei monti Hamrin. La zona impervia e frastagliata è disseminata di grotte utilizzate dagli uomini dello Stato Islamico per nascondersi e per conservare munizioni ed esplosivi. Situata nella provincia di Diyala, non lontano dalla frontiera iraniana al confine tra le provincie di Salahuddin e Kirkuk, l'area è da tempo uno degli ultimi santuari di Daesh. Di certo è fuori della zona ufficiale di operazioni assegnata ai reparti italiani chiamati a garantire l'addestramento delle forze speciali curde e irachene operando a Erbil o a Kirkuk. Ma lavorando sotto comando americano e trattandosi di «forze speciali» i nostri incursori sono inevitabilmente parte delle operazioni condotte per individuare le ultime roccaforti del gruppo terrorista. Non a caso ieri mattina i mezzi d'informazione curdi danno ampio risalto a un'operazione congiunta condotta da forze locali e della Coalizione per colpire gli ultimi resti dello Stato Islamico.

Al momento dell'esplosione l'operazione di «bonifica», come la definiscono da fonti della Difesa, è quasi completata e ha permesso di ritrovare materiale «importante» per la caccia ai militanti jihadisti. Qualcosa va storto nella fase di rientro ed esfiltrazione. Non è chiaro se i nostri incursori siano ancora a terra come sostengono alcuni o - come sembrerebbe dalle ferite - la pattuglia interforze sia, invece, già sui propri mezzi. Mezzi che nel caso di incursori e forze speciali non sono quasi mai blindati per garantire maggior prontezza operativa. Di certo comunque qualcosa, o qualcuno, innesca un Ied, un ordigno rudimentale piazzato nella zona.

Una delle ipotesi parla di ordigno comandato a distanza. Un'altra è che venga piazzato dopo l'arrivo dell'unità composta da militari italiani e peshmerga curdi proprio per colpirli sulla via del ritorno. Di certo l'esplosione è devastante. La scena che si presenta ai commilitoni dei feriti è straziante. A terra ci sono cinque loro compagni. Tre sono del Comsubin e due del Col Moschin. Uno ha la parte inferiore della gamba devastata dalle schegge, un altro ha un piede dilaniato. Ma il più grave è un terzo colpito da un'emorragia al tratto intestinale che sulle prime sembra inarrestabile. Proprio queste ferite localizzate nella parte bassa del corpo fanno pensare che i cinque si trovassero già seduti su un «pick up» del tipo impiegato dai curdi o di un altro veicolo non blindato. Intanto mentre i compagni cercano di arginare il sangue e stabilizzarli arrivano gli elicotteri di soccorso americani che trasportano i cinque verso l'ospedale americano di Bagdad. Si tratta, fortunatamente, di uno dei centri di soccorso per feriti di guerra dove grazie all'esperienza di medici e infermieri i pazienti hanno la più alta percentuale di sopravvivenza. Qui mentre ad un militare viene amputata una gamba e ad un altro una parte del piede i chirurghi arrestano l'emorragia interna che mette a rischio la vita del più grave fra i nostri cinque incursori. In serata fortunatamente la situazione appare stabilizzata e i medici si dichiarano fiduciosi sulle sue possibilità di sopravvivenza.

Nel frattempo a Roma si susseguono le reazioni ufficiali. Mentre il ministro della Difesa Lorenzo Guerini fa sapere di seguire con attenzione e apprensione gli sviluppi dell'incidente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella indirizza un messaggio di solidarietà allo stesso Ministro e al capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Enzo Vecciarelli.

La Procura di Roma affida invece al procuratore aggiunto Francesco Caporale, e ai carabinieri del Ros le indagini per attentato con finalità di terrorismo e lesioni gravissime.

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