Coronavirus

I test rapidi sul sangue rallentano. E in Lombardia finisce a denunce

Ancora attesa per il bando nazionale, poi serviranno cinque giorni per decidere. Scontro sull'esame di Pavia

I test rapidi sul sangue rallentano. E in Lombardia finisce a denunce

I test rapidi non si faranno in tempi troppo rapidi. Servirà almeno una decina di giorni per avviare quello su base nazionale. Mentre c'è un ricorso che potrebbe intralciare l'esecuzione dello screening lombardo che partirà martedì prossimo.

Partiamo dal nazionale, cioè lo studio di sieroprevalenza su 150mila cittadini di sei fasce di età diversa per capire quanti i italiani sono stati contagiati dal coronavirus. Il test da usare per lo studio ancora non c'è. Però, ieri sera, il presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli, ha annunciato che «nelle prossime ore verrà aperta una call per tutte le aziende che ritengono di avere dei test che rispondono alle caratteristiche individuate dal Comitato tecnico scientifico».

Le società interessate avranno cinque giorni di tempo per presentare la propria candidatura e sarà poi il commissario Domenico Arcuri a scegliere il test vincente.

Ma il Cts ha fornito anche le indicazioni su come articolare la scelta: «altissima specificità, test validati da organismi nazionali o internazionali, test realizzabili su larga scala, con almeno un laboratorio per regione in grado di condurre l'esame sierologico e che dovrà fornire risposte rapide e in tempi assai brevi».

La corsa per la candidatura, sia pure con lentezza, è partita. E si spera non ci siano incidenti di percorso. Come quelli che potrebbero essere affrontati in Lombardia proprio sui test sierologici. Ma andiamo con ordine. Martedì, come annunciato dal governatore Attilio Fontana, partirà in Lombardia lo screening di massa a cominciare dalle zone più colpite. Sarà la società Diasorin a iniziare la sperimentazione dei test da realizzare con il prelievo di sangue, processato poi in laboratorio. La certificazione è stata rilasciata dal Policlinico San Matteo di Pavia, a cui la Regione ha deciso di affidare il parere scientifico.

Ma è proprio la Diasorin, da ieri con certificazione Ce, ad essere nel mirino dei concorrenti, la multinazionale TechnoGenetics, seguita dagli avvocati Francesco Abiosi e Ludovico Bruno. La società ha già presentato un esposto al San Matteo di Pavia, al ministero della Salute, all'Anac, all'Antitrust, alla Consob, alla Procura della Repubblica di Pavia, chiedendo la sospensione dell'accordo quadro del 20 marzo scorso stipulato tra il San Matteo e Diasorin «per gravi motivi di illegittimità».

Non solo. Oggi la società di Lodi dovrebbe depositare un ricorso anche al Tar Lombardia, la cui eventuale sospensiva potrebbe bloccare ogni iniziativa di sanità pubblica sui test. Nella sostanza, la contestazione che i giudici dovrebbero esaminare, riguarderebbe l'assegnazione discrezionale ad un'azienda privata fatta dall'ospedale pubblico pavese, ideatore del test.

In questa battaglia di carte bollate la regione si è tirata fuori dalla contesa. L'assessore al Welfare Giulio Gallera ha detto che «non ci saranno rapporti esclusivi, acquisteremo i test da chi è in grado di offrirceli». Gallera ha poi rafforzato la posizione neutrale della regione annunciando che Aria, l'agenzia di regione Lombardia, «farà uscire una manifestazione di interesse per la fornitura di test sierologici, in attesa di una gara regionale o nazionale».

Del resto, Diasorin non sembra l'unica società in lizza. «È in corso una sperimentazione al San Matteo su test della Diasorin», ha aggiunto, «ma ce ne sono anche altri realizzati da una ditta americana presente in Italia.

Bisogna vedere quanti kit riuscirà a fornirci».

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