Impronta surrealista e rosa shocking Il ritorno dei sofisticati «Segni di Elsa»

Le ipnotiche note del Bolero di Ravel ritmate da uno speziato controcanto nordafricano. Ossessione rosa shocking. Chez Schiaparelli, in Place Vendôme, va in scena un rituale evocativo e quasi di reincarnazione della mitica Elsa. Non a caso, il défilé si intitola «I segni di Elsa», ma chissà se a lei, ostinata e sperimentale individualista, sarebbe piaciuto questo assai credibile lavoro di collaborazione e métissage a piú mani, imperniato sul suo linguaggio tanto peculiare, dopo l'improvvisa uscita dalla maison dello stilista Marco Zanini. Un rituale molto ben congegnato, una messa cantata che rinfresca e intende reinventare i codici iconici, che sovrappone e fa rivivere i classici temi della couturière surrealista. Citazioni di patterns dinamici, quelli di Marcel Vertes e Christian Bérard, orientaleggianti madonne Dalì con velo e aureola in testa, ricami «squelette» a sottolineare l'anatomia. Pleiadi di stelle, le mani magiche da indovina, spilli, lucchetti e cuori, policromi composit Arlecchino, strutture e proporzioni costruite oltre che importanti, specie sulla schiena, applicazioni Max Ernst di minuscoli specchi «molli» dorati in vita, agglomerati di piume, il tuxedo in cady bianco con fez cairota. Insomma, si capisce subito di pescare nella vibrante narrativa di Elsa Schiaparelli, ce n'é proprio di ogni forma e colore. Sfilano cloni di Djuna Barnes, di Millicent Rogers e Marie-Laure de Noailles, in nome dell'osservanza ortodossa dell'anima poetica della designer italo-francese. Cromie prepotenti, arancio vivido, verde acido, l'immancabile rosa shocking, blu elettrici, riflessi di madreperla e porcellana, techno-jacquard e concrezioni di micropaillettes nere a effetto sottomarino. In sala siedono una particolarmente sorridente Carla Bruni-Sarkozy, Adel Abdessemed, Ellen Von Unwerth, Camille Seydoux, Alexandra Golovanoff, Sofia Sanchez de Betak, Naty Abascal, per la quale il tempo si è davvero fermato. Bene. Bello.

Rimane in sospeso una domanda fondamentale: a chi si può rivolgere oggi questo messaggio, questa mise en scène così colta, sofisticata e intellettuale fino alla provocazione, così identificata con uno scenario sociale e soprattutto culturale che, nel mondo attuale, ahimè non esiste più.

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