Incendi, scioperi della fame, risse, richiesta di psicofarmaci, fughe di massa. Con la polizia che interviene ma si trova a operare con scarsi organici nelle difficili condizioni in cui versano i centri di permanenza per i rimpatri. Cresce la tensione nelle strutture introdotte un anno fa dalla riforma Minniti, in sostituzione dei vecchi Cie, con l'intento di rimpatriare più velocemente i migranti. E dove la vigilanza è necessaria perché si tratta di irregolari, spesso autori di reati minori, considerati dalle questure socialmente pericolosi. Se il piano dei centri è ancora incompleto - sono attivi solo Bari, Brindisi, Potenza, Torino, Roma e Caltanissetta - la situazione in quelli esistenti è complicata.
I fatti. L'ultimo è di pochi giorni fa, nel centro alle porte di Potenza che ospita un centinaio di migranti: dopo uno sciopero della fame, in 24 sono scappati. Le associazioni, dopo un'ispezione, hanno denunciato «violazione dei diritti umani e condizioni inaccettabili». Ma è il sindaco del comune di Palazzo San Gervasio, Michele Mastro, a essere il più allarmato. Due giorni fa ha riunito il consiglio straordinario «perché c'è stata una preoccupante falla nel sistema di sicurezza - racconta - Quando è stato aperto, il prefetto ci aveva assicurato che questo sarebbe stato un paese blindato, iper sicuro. Invece, le cose stanno diversamente. Abbiamo chiesto al Viminale un rafforzamento delle forze dell'ordine e di valutare se la struttura sia idonea a svolgere questa funzione. Noi siamo pronti a chiederne la chiusura».
Un timore giustificato dal fatto che alla viglia dell'apertura di questi centri ai sindaci e alle regioni erano state dispensate rassicurazioni. Era stato garantito che non si sarebbero ripetute le criticità conosciute con i Cie. Invece la cronaca di questi mesi evidenzia come le stesse forze dell'ordine che si alternano nella vigilanza non siano spesso sufficienti. A Brindisi un mese fa, un'altra rissa. Sette migranti (due algerini, un marocchino e quattro tunisini) erano stati fermati con l'accusa di tentato di omicidio di un 39enne albanese, aggredito proprio nel centro di permanenza e di rimpatrio di Restinco. A Bari il sindacato di polizia Coisp ha denunciato che «a fronte di un ingente numero di ospiti, la media è di circa 90, le forze destinate alla vigilanza non bastano a garantire l'incolumità degli ospiti e degli addetti ai lavori, in particolare nei turni delicati come quelli notturni, tra scioperi della fame e richieste di psicofarmaci». Già, la notte. In quella in cui sono fuggiti i migranti da Potenza, c'erano 12 agenti per un centinaio di persone. I turni diurni invece sono composti da un minimo di sei.
Uno scenario che rallenta l'attuazione del piano Minniti, che prevedeva un centro per regione. Perché al di là degli immobili, molti ancora da individuare o da ristrutturare, c'è la paura dei territori. È anche per questo che mercoledì il sindaco di Modena, Gian Carlo Muzzarelli, Pd, ha scritto a Minniti chiedendo che l'apertura del centro in città sia condizionata a un aumento del presidio di polizia.
A Firenze, sulla struttura si gioca un braccio di ferro tra Pd e Leu, ovvero tra il sindaco Dario Nardella, che vuole il centro «perché gli irregolari vanno rimpatriati», e il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, che invece non ne vuole sapere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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