Mentre il mondo fuori respirava, sulle spiagge inondate di luce e di mare, lo speleologo tentava di risalire dalle budella della terra. Seicento metri sotto il livello del suolo, nessun rumore, solo quelli funzionali degli uomini che, come frenetiche formiche, tornavano su, in fila, verso il cielo: roccia e acqua, le interiora del pianeta, la buia crosta primitiva da percorrere a ritroso. Salvatore Manca, 45 anni, socio esperto dello Speleoclub di Nuoro, è una di quelle formichine, lillipuziani che scavano percorsi nella terra per passione. Una giornata di adrenalina e avventura, il viaggio nella grotta Sa Conca e' locoli, nelle campagne di Siniscola, provincia di Nuoro, Sardegna aspra. Ma qualcosa di piccolo accade in superficie. Un pezzo di una galleria del Mont'Albo si stacca. Un sasso scende nello spazio cavo sottostante, precipita e si schianta nel punto in cui lo speleologo sta avanzando. Salvatore Manca rimane intrappolato. Solo, seicento metri sotto la terra, nel ventre della Sardegna. L'allarme parte nella serata di mercoledì. Lo lancia il gruppo di speleologi dello Speleoclub nuorese risaliti dalla grotta. Due si trovano nel sottosuolo, per stare accanto al compagno ferito. Arrivano 45 soccorritori del Soccorso alpino e speleologico regionale, vigili del fuoco con la squadra specializzata del soccorso alpino fluviale e squadre del 118. Finalmente i sanitari riescono a raggiungerlo. Per arrivare a lui si immergono e riemergono. Si trova oltre una barriera d'acqua sotterranea. Prestano le prime cure: Manca è in condizioni gravi ma non in pericolo di vita. Ha un braccio e una gamba fratturati, dolori in tutto il corpo. Non si può muovere. Tutto reso difficile dalla barella: far passare una lettiga negli anfratti, un filo troppo largo per la cruna dell'ago. Lo speleologo si trova in una porzione asciutta oltre un tortuoso budello. Bisogna fargli attraversare un sifone d'acqua e un piccolo lago a corpo morto, imbragato. Se i seicento metri fossero in superficie, se ci fosse un sentiero tracciato, sarebbero necessarie meno due ore di cammino per completare il dislivello. In quelle condizioni, a una simile profondità, e con lo sbarramento d'acqua da superare, il soccorso è un'impresa. Nella miniera di San Josè in Cile, i 33 minatori rimasti intrappolati per 69 giorni si trovavano a una profondità di settecento metri. Ci vollero più di due mesi per salvarli, la frana però in quel caso fu enorme. Il pensiero va a paragoni drammatici, ma la procedura di recupero fino a ieri pomeriggio veniva ritenuta, per quanto complicatissima, eccezionale, possibile entro la mattinata di oggi. Bombole, barella, microcariche esplosive. Sono gli speleologi subacquei i primi ad entrare in azione. Il torrente sotterraneo si può attraversare solo con l'ausilio della respirazione artificiale, ma Manca ha il corpo immobilizzato per le fratture. Il cunicolo di risalita è poi molto stretto, bisogna ricorrere quindi a microcariche per creare spazio per il passaggio della barella. Ci si mette però la burocrazia: per utilizzare l'esplosivo sono necessarie autorizzazioni speciali. Nella giornata di ieri non arrivano. I soccorritori lavorano dodici ore per scavare, aprire, per creare la strada di risalita al corteo sanitario dei lettighieri e della barella. Ci riescono per la prima parte senza far saltare la roccia. Ma non è meno insidioso il superamento del sifone d'acqua e del lago. Si va avanti per tutta la sera.
E in superficie amici e parenti aspettano da mercoledì notte, rivivendo gli incubi passati, sognati e veri, del buio sotterraneo: i minatori, Alfredino da Vermicino, tutte le storie di corpi in lotta con la vita nel fondo della terra, e degli angeli degli inferi che si calano nell'abisso per salvarli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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