di Fiamma Nirenstein
A meno che non vadano in porto gli sforzi drammatici dell'ultimora che hanno allungato ancora, fino ad oggi, la discussione, è in stallo l'accordo con l'Iran per ottenere il blocco della sua attività nucleare. Non è ancora chiaro dunque se si realizzeranno i desideri di Obama che dovevano giungere a compimento ieri sera, scadenza per l'annuncio di un accordo destinato a creare un'illusione in più, fonte di pericolo e confusione, e un Iran nucleare consolidato per strada. Addirittura, Benjamin Netanyahu, se l'intesa sarà raggiunta, ha previsto che gli ayatollah avranno l'atomica in appena un anno. Ma la fragilità dell'alleanza dei P5+1, la debolezza del protagonista americano entusiasta ma strategicamente troppo perdente in Medio Oriente per fornire garanzie d'acciaio, hanno rallentato i lavori, e così l'opposizione della Francia dopo la scoperta che l'America trattava sottobanco con gli ayatollah, e la proverbiale prudenza della Germania. Alla fine un accordo ieri non è stato stretto, e se stanotte non si percorrerà la distanza fra le parti, solo a giugno riprenderà la discussione.
L'Iran in una parola sta cercando di portare a casa il suo solito successo, quello cui ci ha abituato: la delegazione mostra un volto urbano, stavolta quello del ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif, poi, alla fine, avvizzisce, non è più d'accordo, rompe, riceve ordini da Teheran, e dunque guadagna tempo per proseguire nel suo progetto nucleare. Come fa? Semplice, proprio come questa volta: dimostra buona volontà mentre sposta la discussione dalle centrifughe agli altri impianti, alle ispezioni, al trasferimento dell'uranio già arricchito fuori dei suoi confini. Tutto è discutibile. Su ognuno di questi temi dice quasi sì, e poi crea all'ultimo minuto un insuperabile problema. Stavolta, la questione è il trasferimento delle riserve arricchite in Russia: sembrava un risultato raggiunto, e poi la delegazione si è freddata. Le trattative sono una palestra per (islamicamente) perseguire il proprio fine anche usando l'inganno: Sayed Hossein Mousavar, lo spokesman di Rouhani, nel 2003 il capo della delegazione iraniana, spiegò uno degli aspetti della tecnica e il fine: «Abbiamo sfruttato le differenza fra Usa e Ue per raggiungere i nostri obiettivi...». Come oggi. Quando Mohammed Khatami, il «moderato» era presidente, il programma nucleare avanzò alquanto mentre l'Iran simulava una pausa, e Khatami se n'è vantato; fu costruita anche la centrale di Natanz, una delle più pericolose. Di certo Obama lavorerà per appianare i dissensi, ma intanto a Sharm el Sheikh uno schieramento di dieci paesi arabi capitanati dall'Arabia Saudita e dall'Egitto hanno annunciato, oltre alla guerra in Yemen contro gli Houti sostenuti dall'Iran, anche una solida, duratura, persino atomica opposizione all'accordo con l'Iran. I sauditi lasciano intendere di avere intrapreso un piano nucleare per contrapporsi a quello che ritengono uno sviluppo certo nel caso di un accordo: nucleare e mano libera del nemico sciita per espandere la propria egemonia in Medio Oriente. Il suo imperialismo ha incamerato parte di Siria, Iraq, Libano, Yemen. Obama e Kerry suggeriscono che l'Iran possa essere un alleato ma chi è un alleato dell'Iran non può essere alleato anche dell'Egitto e dell'Arabia saudita, e neppure della Giordania, o dei Paesi del Golfo. Esiste una parte del mondo sunnita che si batte contro l'Isis, ma anche contro l'imperalismo iraniano. È strano che Obama, invece di gestire il rapporto con l'Iran con inutile energia, non abbia speso i suoi sforzi per alleati più plausibili, come l'Egitto.
Adesso l'Iran secondo l'accordo manterrebbe 6000 centrifughe, comprese quelle ultraveloci, non spianerebbe Natanz e Fordo, le due centrali fatali, e chissà che cosa cuoce sull'uranio arricchito. Nel marzo del 2005 aveva 200 centrifughe, oggi ne ha 19mila. Durante le trattative precedenti, doveva trattenere 1500 centrifughe, ora 6000. A giugno, di più.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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