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Israele ha fretta di finire. Ma Hamas vuole la Jihad

Opposti scopi: da un lato il conflitto-lampo, dall'altro proseguire fino alla guerra santa

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N elle ultime ore, al quinto giorno di guerra, gli attacchi a Israele si sono moltiplicati e differenziati: provengono ormai non solo da Gaza, da cui sono seguitati a piovere i missili fino a Tel Aviv, ma dai territori dell'Autonomia Palestinese, dal Libano, dalla Siria, e assumono la veste di grandi manifestazioni in molte parti del mondo, come a Londra, con bandiere palestinesi e odio antisraeliano e antisemita.

Ci sono due strategie opposte sugli scopi da raggiungere. Da una parte, Israele ha un obiettivo relativamente chiaro: togliere a Hamas la possibilità di costringere i suoi cittadini nei rifugi, fra perdite umane e rovine. Non scalzarlo dal potere, ma bloccare le potenzialità belliche dell'organizzazione terrorista per un pezzo. Per questo usa le forze aeree in modo da distruggere i nidi di missili, gli uomini che li comandano e operano. Una volta raggiunto questo obiettivo, come ripetono gli israeliani, la guerra è finita. È una scelta strategica molto costosa, Hamas nasconde le sue armi e i suoi leader fra i civili: così a volte la scelta è fra permettere che lancino ancora un missile contro una casa o una scuola, oppure colpire, ieri, il ricco quartiere di Rimal di Gaza, sede di Hamas e la Jihad Islamica, anche se non prima di aver avvertito gli abitanti. Altrove, come nel caso di Khalil Haya, un importante militare, solo la sua casa è stata distrutta. I grandi capi Yehje Sinwar e Muhammad Deif, poi, sono al largo. Ma Israele procede a grandi passi, e l'impresa di mercoledì, per cui sono state distrutte le gallerie che entrano in Israele e nascondono strumenti tecnici sofisticati, può accorciare i tempi e far felice il Qatar e l'Egitto che si danno da fare per il cessate il fuoco.

Dall'altra parte però, e questo aumenta l'impegno anche bellico di Israele, la strategia di Hamas non è affatto di concludere. Può, sì, offrire un cessate il fuoco finché le convenga di nuovo spedire i cittadini di Israele nei bunker. Ma alla lunga Hamas ha uno scopo strategico scritto in tutti i suoi documenti e i suoi discorsi e azioni, che è quello della Guerra Santa. Su questo lavora da quando ultimamente gli se ne è presentata la possibilità. Mi dice un palestinese da Ramallah, sotto Abu Mazen: «Mai si è sentita così forte l'influenza di Hamas, i suoi uomini fanno arruolamenti continui, e quello che era un tempo di Fatah sta cadendo nelle mani di Hamas». Ieri nel «giorno della Nahba», il «giorno della distruzione», manifestazioni pro-Gaza molto numerose, per esempio a Sahnin, ovunque aggressioni con sassi, attacchi terroristi nei confronti di insediamenti e di soldati isolati, hanno ingaggiato gli israeliani e causato 10 morti fra i palestinesi. Dal Libano, una piccola folla di libanesi ha scavalcato il confine a Metulla ed è stata ricacciata indietro dai soldati, mentre dalla Siria piovevano tre missili. Anche ieri sera, sul confine libanese, una massa di auto e di uomini, forse Hezbollah, hanno manifestato e danneggiato strumenti tecnici al confine, e si dice che è per evitare reazioni di Hezbollah che Israele ha lasciato tornare i libanesi a casa senza danno. L'apertura di un fronte con Hezbollah significherebbe una pioggia di centinaia di migliaia di missili su tutta Israele.

Intanto, da nord a sud si sgretola la convivenza dei cittadini israeliani e arabi in quasi tutte le città sotto la sferza di folle che invadono le strade, gettano bottiglie molotov, aggrediscono, appiccano il fuoco. Il coprifuoco e la polizia non ce la fanno a fermare la rabbia. Anche gruppi estremisti israeliani soffiano sul fuoco con gesti inconsulti. La polizia li cerca, la legge, il governo, Netanyahu li condannano. Invece, l'origine dell'odio arabo ha una dimensione strategica, che vede lo Stato Ebraico come illegittimo, coloniale, non come il Paese di un popolo indigeno.

Abu Mazen e i leader dei partiti arabi israeliani che siedono alla Knesset hanno soffiato sul fuoco per paura di perdere il consenso della loro base su temi ideologici e religiosi senza i quali Hamas li spazzerebbe. L'islamismo ha un fine strategico di lunga durata, l'ambasciata americana a Gerusalemme e poi i patti di Abramo sono stati una sconfitta ideologica di cui rifarsi. Adesso, questo per Hamas è il momento, condiviso con l'Iran e con la Turchia, di recuperare lo spazio perduto.

Hamas, nonostante il vittimismo delle manifestazioni che accusano Israele, cerca con questa guerra un allargamento strategico della guerra santa e di religione che è una maledizione per tutti, musulmani ebrei e cristiani.

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