T enetevi forte, allacciate le cinture e mandate a letto presto i bambini, perché iniziano i trenta giorni che possono cambiare l'Italia. No, il crollo della Borsa non c'entra, e nemmeno il pasticcio sull'evasione fiscale è considerato un problema. Quanto ai conti pubblici, l'Europa ci ha dato tempo fino a marzo per sistemare i decimali. A preoccupare il Palazzo stavolta è un'altra cosa, è l'ingorgo di inizio anno, la partita doppia che sta per iniziare e che condizionerà l'intera legislatura e la futura geografia politica del Belpaese. Quirinale, Italicum, riforme: tutto insieme, tutto in un mese, tutto d'un fiato.
C'è giusto il tempo di godersi la Befana, poi si comincia. Domani mattina Matteo Renzi riunirà i gruppi parlamentari del Pd per cercare di serrare i bulloni in vista del duplice appuntamento. Non tira una buona aria, la minoranza ribolle, anche se dalle parti del governo sperano di contenere il dissenso. Sarà comunque, come si dice in diplomazia, «un confronto franco», con il premier che vuole accelerare e gli oppositori interni che tenteranno di rallentarlo, di condizionarlo.
Poche ore dopo, alle quattro di pomeriggio, la legge elettorale arriverà al Senato. Sarà un po' la prova generale delle elezioni del nuovo capo dello Stato, la verifica del peso delle forze in campo e lì forse si capirà come andrà a finire tutto. Renzi vuole chiudere in poche settimane e, dopo l'accordo interno che prevede sia le preferenze che i collegi, conta di farcela e di poterla rimandare alla Camera per il via libera definitivo nei primi giorni di febbraio, subito prima o subito dopo la nomina del dodicesimo capo dello Stato. Ottimismo di facciata? Il ministro Boschi e i due capigruppo Zanda e Speranza dovranno sudare per superare ostacoli, trappole e sabbie mobili piazzate sul percorso dell'Italicum. Senza contare le resistenze degli altri partiti, di maggioranza e di opposizione, che non vogliono consegnare a Matteo la «pistola carica», lo strumento per tornare alle urne e chiuderanno la clausola di salvaguardia che congelerà la situazione fino al 2016.
Intanto Renzi il 13 gennaio parlerà a Strasburgo, chiudendo così ufficialmente il semestre italiano di presidenza della Ue. Da quel momento ogni giorno è buono per le dimissioni di Giorgio Napolitano, annunciate, spiegate in tv, ma che diventeranno effettive solo quando firmerà il decreto, cioè una semplice lettera indirizzata al premier e ai presidenti delle Camere e che il governo dovrà controfirmare. Forse avverrà già il 14, o il 15, se Re Giorgio non deciderà di aspettare Angela Merkel, prevista in visita in Italia la settimana successiva. Ma l'idea prevalente è quella di mollare subito, in modo da accelerare la complessa procedura costituzionale che porterà alla scelta del suo successore.
Dunque, se Napolitano lascerà il 14, il seggio elettorale per il Colle potrà essere convocato entro la fine del mese, dopo i 15 giorni canonici di attesa. In quelle due settimane le funzioni e i poteri del capo dello Stato verranno assunti dal supplente Pietro Grasso, presidente del Senato e seconda carica della Repubblica. I 1.009 grandi elettori, i parlamentari più i rappresentanti regionali, si riuniranno a Montecitorio e cominceranno a votare tra fine gennaio e i primi di febbraio.
Salvo sorprese, i primi tre scrutini, quelli in cui si richiede una maggioranza qualificata dei due terzi, andranno a vuoto.La partita entrerà nel vivo alla quarta «chiama» e a qual punto i giochi saranno fatti e si saprà se il Patto del Nazareno ha retto o se inizierà il rodeo Quirinale.
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