Johnson, missione (quasi) impossibile per risolvere l'impasse nord-irlandese

Il premier a Belfast per ricomporre la frattura tra il Sinn Fein, al primo successo elettorale, e il Dup, che rifiuta di collaborare

Johnson, missione (quasi) impossibile per risolvere l'impasse nord-irlandese

Boris Johnson è oggi in Irlanda del Nord per cercare di risolvere l'impasse politico in cui è caduto l'Ulster dopo le elezioni dello scorso 5 maggio. Allo storico risultato di due settimane fa, in cui per la prima volta lo Sinn Fein è risultato il partito più votato, guadagnando 27 seggi dell'Assemblea Legislativa dell'Irlanda del Nord, ha fatto seguito il rifiuto degli unionisti del Dup, usciti secondi alle elezioni, di sedersi nello stesso esecutivo con i repubblicani. Il rifiuto a collaborare era stato annunciato ben prima delle elezioni, quando già i sondaggi davano per vincente lo Sinn Fein. Il contendere non è tanto la diversa visione politica sul futuro dell'area quanto il Protocollo sull'Irlanda del Nord, firmato da Regno Unito e Unione Europa nell'ambito degli accordi sulla Brexit. Superare il Protocollo è la condizione che il Dup ha posto per tornare al tavolo, motivata dal fatto che l'attuale situazione dell'Irlanda del Nord - con controlli doganali sui beni che entrano dalla Gran Bretagna sarebbe economicamente e politicamente insostenibile.

La collaborazione tra il primo e il secondo partito nordirlandesi non è tanto una pratica di buona politica tra le due principali forze politiche quanto uno dei principi cardine degli accordi di pace del venerdì santo, firmati nel 1998, che misero fine alla guerra civile: il primo partito ha il diritto di nominare il primo ministro, il secondo il suo vice, formalmente con gli stessi poteri ma simbolicamente un passo indietro. Il Dup si è spinto oltre, bloccando anche la nomina dello speaker del parlamento, il presidente dell'Assemblea, esercitando il suo diritto di veto nonostante un voto, tenutosi venerdì, di 62 a 25 a favore della nomina. Risultato: il parlamento non opera, il governo non si insedia, le redini amministrative vengono tenute da Londra.

Durante la visita a Belfast, Johnson spronerà i partiti a riprendere la collaborazione politica e occuparsi dei problemi quotidiani della gente, primo fra tutti l'aumento dei prezzi. Ma durante gli incontri ci sarà un ingombrante invitato di pietra, l'Unione Europea, cui è indirizzata la seconda parte del messaggio di Johnson: il protocollo sull'Irlanda del Nord deve essere rivisto, così com'è non può funzionare. Se Bruxelles non accetta di ripensare radicalmente l'impianto del Protocollo, Londra è pronta a intervenire unilateralmente e disattendere quanto firmato a fine 2020. Le negoziazioni tra le parti per rivedere la burocrazia e i controlli doganali previsti dagli accordi stanno andando avanti da mesi, senza risultato. Una proposta europea di revisione, presentata a ottobre, è stata rifiutata dagli inglesi perché ritenuta un'aggravante del problema più che una soluzione. L'atteggiamento di Londra, pronta a buttare a mare un accordo internazionale firmato meno di due anni fa, viene giustificato dal governo inglese con la necessità di salvaguardare gli accordi di pace del 1998. Viene criticato all'interno stesso del partito conservatore e dall'opposizione per il colpo che arrecherebbe alla credibilità internazionale del Regno Unito.

Viene accolto da Bruxelles con la minaccia della sospensione in toto degli accordi di libero scambio tra i due blocchi e l'inizio di una guerra commerciale.

Un'eventualità che, vista nel contesto più ampio della guerra in corso in Ucraina e del ruolo politico e militare di primo piano ricoperto da Londra, non sarebbe certo un segnale di unità del fronte occidentale.

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