L'esercito saudita apre anche alle donne Ma in rete si vendono cameriere schiave

Le contraddizioni e i diritti in Arabia Saudita

L'esercito saudita apre anche alle donne Ma in rete si vendono cameriere schiave

C'è fermento e confusione in Arabia Saudita. Una ventata di novità epocali, rivoluzioni culturali. Diritti invocati e finalmente ottenuti. Le donne che finalmente possono affrancarsi dal potere maschile. E l'ultima nuova, parziale apertura passa attraverso l'esercito. Per la prima volta potranno arruolarsi, diventare soldatesse ma senza combattere. È l'ultima riforma in favore delle donne adottata dal re saudita Salman dopo l'autorizzazione a guidare, ad andare allo stadio e ad avviare imprese senza il consenso di un uomo. Giganteschi, enormi progressi nei diritti umani, nel Paese che però ancora obbliga le donne ad avere il «tutore», la più odiosa delle restrizioni imposte in Arabia Saudita; la figura del guardiano, che può essere un padre, marito, fratello o addirittura figlio - al quale la donna deve chiedere il permesso per sposarsi, viaggiare e, in alcuni casi, lavorare o sottoporsi a cure mediche. Solo l'anno scorso un famoso terapeuta saudita, Khaled Al-Saqaby, pubblicava un video sul «modo corretto, per i musulmani, di educare le proprie mogli». Ovviamente picchiandole.

Oggi il Paese ha voglia di cambiamenti. Di innovazione, voglia di diversificare. Aprire all'Occidente e alla sue abitudini, il progetto ambizioso di costruire una seconda Las Vegas, importare il divertimento, sale cinematografiche, teatri, piste di pattinaggio, far entrare cantanti stranieri. Finora i teologi wahabiti (il ramo radicale del sunnismo che vige in Arabia Saudita) si sono espressi in modo critico verso le aperture. Intanto, in queste ore, i messaggi choc comparsi in rete stanno creando un vero e proprio caso politico. «Cedesi domestica, 26enne, brava in cucina e disponibile con i bambini. Prezzo: 4500 euro, compreso il trasporto». Annunci dell'orrore che si possono trovare facilmente su Twitter, pubblicati da famiglie saudite che - come se niente fosse- propongono di «vendere» la propria domestica straniera ad altri. Ed è polemica, in primis nei Paesi di provenienza delle donne, ridotte a merce di scambio e senza alcuna voce nella contrattazione.

Le donne, evidentemente considerate una proprietà, vengono dunque scambiate come mobili. I primi testi sono comparsi a dicembre, ma nelle ultime settimane, si sono moltiplicati, tanto che sono anche fioriti account dedicati. Ma nei Paesi d'origine, le domestiche vendute su Twitter hanno suscitato indignazione: dal Bangladesh alle Filippine, dal Vietnam al Nord Africa. In Marocco, ad esempio, le associazioni per la difesa dei diritti delle donne hanno chiesto al governo di prendere provvedimenti con l'amministrazione di Riad. «Siamo ritornati alla schiavitù», hanno protestato sui giornali locali. Le autorità saudite, nel frattempo, hanno comunicato che apriranno un'inchiesta.

Ma trovare gli annunci online è ancora molto semplice: basta cercare in arabo «cedesi domestica» su Twitter e compaiono decine di foto di signore messe a disposizione dai loro garanti. Una vera e propria tratta. Chi combatte per loro?

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