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Letta lega mani e piedi al M5S: "Così il Pd muore"

Dopo la gestione della candidatura di Gualtieri a Roma, scatta l'allarme: "Se perdiamo, il partito non esister più"

Letta lega mani e piedi al M5S: "Così il Pd muore"

Da Zingaretti a ZingaLetta. Con questa battuta, nel Partito democratico, è stato identificato l’errore del nuovo segretario, che ha seguito le orme del predecessore: legarsi mani e piedi all’alleanza con il Movimento 5 Stelle. “Ma come si può fare una figuraccia del genere e indebolire un profilo come Gualtieri, facendolo apparire come un ripiego?”, è una domanda che angustia i discorsi interni agli esponenti dem. E ora potrebbe arrivare un conto bello salato, perché il peggio sarebbe soltanto in arrivo, stadi agli umori colti: “Non basterebbero le vittorie a Bologna e Milano, che sono comunque tutte da conquistare. In caso di sconfitta a Roma e Napoli, il Pd è finito. Non ci sarebbe più nella forma in cui lo conosciamo oggi, bisognerebbe pensare ad altro. È inutile girarci intorno”, sintetizza un parlamentare della sinistra dem, facendo professione di pessimismo. Anche se la coda è leggermente meno amara: "Ci sono molti mesi per vincere".

Certo, dalla parte degli ex renziani rimasti nel partito si potrebbe tentare la carta di rispedire Letta a Parigi e riprendersi la leadership con Stefano Bonaccini, il presidente della Regione Emilia-Romagna, da tempo in panchina. Ma prontissimo a riscaldarsi per entrare in campo. Tuttavia, il dopo Letta rischia di essere un post Pd. Almeno questa è la convinzione di più di una fonte. “E non per innamoramento di Letta, ma per una questione oggettiva”, è la chiosa al discorso. Quindi in qualche modo si punta a una strategia unitaria e vincente per salvarsi dal naufragio e poi affrontare un congresso che non sia un bagno di sangue totale.

Strategia sbagliata

Per questo motivo, ancora di più, l’insistenza nel cercare l’alleanza con i 5 Stelle è stata giudicata fuori luogo. Il caso della candidatura a Roma è diventato emblematico. “La responsabilità non è nemmeno di Conte, che alla fine fa il suo gioco, tenendo a bada un Movimento a pezzi. La colpa è di chi si fa irretire da uno che nemmeno è un politico”, analizza una fonte interna dem. Ma, anche pubblicamente, c’è chi non le manda a dire: secondo Andrea Marcucci, ex presidente dei senatori del Pd, i vertici dem hanno sopravvalutato Conte. Perché l’addebito che viene fatto all’attuale numero uno di Largo del Nazareno è proprio l’intenzione di arrivare all’intesa che era palesemente difficile da portare a termine: “Non potevamo andare con la Raggi, né lei era intenzionata a mollare. Si doveva uscire prima dall’impasse, non ci voleva molto a capirlo”, dice a IlGiornale.it un esponente del Pd.

Ma c’è anche chi prova ad assolvere Letta. “Non è che avesse tanta possibilità di fare scelte diverse, rispetto a quella di puntare su Zingaretti”, ragiona un parlamentare. “Quindi - aggiunge - se Zingaretti ha detto di non volersi candidare, Letta ha dovuto prenderne atto. Certo avrebbe potuto accelerare sul processo delle primarie e vedere cosa sarebbe accaduto. Ma comunque saremmo al punto di partenza”. Insomma, c'è chi continua a vedere Zingaretti responsabile dello sfacelo. Una tesi che trova in parte d’accordo Italia Viva: il partito di Matteo Renzi è spettatore interessato. “Avevamo avvisato il Pd che non ci si poteva fidare di Conte. Invece loro hanno preferito entrare nella casa del Grande Fratello”.

E a Letta potrebbe costare la nomination.

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