Letta teme di perdere pure la partita del "rimpastone"

Se si arrivasse all'intesa su Draghi al Quirinale i dem ostaggio delle richieste leghiste sul governo

Letta teme di perdere pure la partita del "rimpastone"

Il primo faccia a faccia ufficiale con Matteo Salvini (i colloqui informali di questi giorni, ovviamente, non si contano) è «andato bene», assicurano nel Pd.

Ma a sera la dichiarazione del capo leghista, che sta cercando di mettersi al centro dei giochi come potenziale tessitore, fa capire che la soluzione è ancora lontana: «Nelle prossime ore il centrodestra unito offrirà non una ma diverse proposte di qualità, donne e uomini di alto profilo istituzionale e culturale, su cui contiamo ci sia una discussione priva di veti e pregiudizi». Come a dire che non si lavora su un'unica carta, il candidato naturale Draghi, ma ci si tengono aperte altre ipotesi. «Salvini può sempre ripiegare su Pierferdinando Casini insieme a Renzi, oppure scegliere le elezioni anticipate con la Meloni», ragiona un esponente dem.

Anche se fonti della Lega confermano che il colloquio tra Salvini e Draghi, che risalirebbe domenica sera, sia «andato bene», e la stessa versione viene confermata dal Nazareno: «Si ragiona su un accordo politico che tenga insieme nuovo governo e anche alcune riforme, a cominciare dalla legge elettorale proporzionale».

Il leader dem Enrico Letta, che ieri ha visto il premier, sta giocando, con cautela, una partita complicata. Lo schema vede Mario Draghi al Quirinale, e un governo in cui le pedine che cambiano sono pochissime: il premier ovviamente, ma tutti concordano che «il nome, in questa fase, è secondario e si vedrà alla fine», e al massimo un paio di ministeri: qualcuno dice la Transizione ecologica del «tecnico» Cingolani, ma soprattutto il Viminale. «È il nodo politico principale: Salvini chiede la testa del ministro Lamorgese». Ma il problema non è questo, spiega una dirigente Pd: «È che la Lega chiede per quel posto un politico come il suo sottosegretario Nicola Molteni, e per noi digerire una cosa simile rischia di essere proibitivo». Tanto che un uomo di governo del centrosinistra si dice certo che «Salvini stia alzando di molto il prezzo sul governo per far saltare l'ipotesi Draghi al Colle», e aggiunge: «Ad ora, vedo ancora chance per Pierferdinando Casini, con il governo che resta dov'è, perché il premier non potrebbe fare altro, tanto più con una guerra europea alle porte e i mercati in tilt».

Letta sa che la strada è in salita e i nemici sono molti, anche all'interno del suo partito dove la resistenza contro Draghi è fortissima in alcuni settori. E non si tratta solo della fronda (sospetta di «renzismo») che viene allo scoperto, con dichiarazioni pro Casini di Andrea Marcucci e Dario Stefano, ma di tutti coloro che puntano a indebolire il segretario facendogli perdere il match. Anche a costo di regalare una vittoria a Salvini (e Renzi). Ma «il rischio di disperdere l'esperienza Draghi è presente a tutti», dice ai suoi il segretario, e se la situazione sfuggisse di mano «si rischia una crisi istituzionale».

Nei frenetici capannelli di Montecitorio, dove i grandi elettori intenti a votare scheda bianca («Io ho votato Mattarella, e mi hanno rimproverato perché mi sono trattenuto troppo nell'urna», scherza Tommaso Cerno) si scambiano notizie senza riscontro, i più consapevoli della situazione si mostrano preoccupati. «Temo che ci stiamo tutti incasinando sulla gestione di questo tornante fondamentale, ci siamo arrivati troppo tardi», confidava ad alcuni parlamentari l'ex capogruppo Pd Graziano Delrio. Poi c'è il problema degli alleati M5s nel marasma, con Conte che odia Draghi e con Di Maio che ricorda ai dem che «controllo molti più voti io di Giuseppe, è con me che dovete trattare» .

«Serve ancora molta pazienza», dice il ministro della Difesa Lorenzo Guerini. «Serve una soluzione di alto profilo, forte anche fuori dai palazzi», dice Andrea Orlando. «Il problema non può essere solo l'organigramma di governo».

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