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L'ex sindaca Pd condannata a 5 anni

Pena confermata in appello. E il marito di Marta Vincenzi sviene in aula

L'ex sindaca Pd condannata a 5 anni

Roma Colpevole anche per la corte d'Appello. L'ex sindaco di Genova, Marta Vincenzi, ieri si è vista confermare la condanna già ricevuta in primo grado. Cinque anni per disastro colposo, omicidio colposo plurimo e falso, per l'alluvione che colpì la città ligure nel 2011, e nel quale morirono sei donne, tra le quali due bimbe (di 10 mesi e otto anni), in conseguenza dell'esondazione del torrente Fereggiano.

Al momento della lettura della sentenza, il marito dell'ex sindaco, Bruno Marchese, ha avuto un malore ed è stato sorretto da Stefano Savi, legale della Vincenzi (lei assente in aula) mentre si accasciava, tremante, al suolo.

Una condanna pesante, ma che se anche fosse confermata in Cassazione non aprirebbe le porte del carcere per l'ex prima cittadina del Partito Democratico, che ha governato Genova tra 2007 e 2012. LA Vincenzi, infatti, ha 71 anni, e dunque più di 70, l'età oltre la quale - a esclusione di alcuni reati particolarmente efferati - non si finisce dietro le sbarre, ma semmai agli arresti domiciliari. Un dettaglio che non consola l'ex sindaco, che commentando la sentenza sospira: «Non so se riuscirò ad andare avanti». Duro anche l'avvocato Savi: «Non ho parole», esordisce il legale, «Vorrà dire che dovremo attendere la Cassazione per insistere sulla applicazione delle norme che regolano la responsabilità colposa così come avvenuto già in altri processi davanti ad altri giudici in Italia».

Secondo i giudici, però, la Vincenzi e gli altri assessori e tecnici comunali condannati non avrebbero fatto tutto il possibile per evitare il drammatico bilancio dell'alluvione e dell'esondazione del Fereggiano. Pur avendo ricevuto dal mattino l'allerta meteo di livello 2, infatti, il Comune decise di non chiudere le scuole, e molte delle vittime perirono proprio andando a scuola a prendere parenti all'uscita. Inoltre tra le contestazioni c'è il falso perché sarebbe stato modificato ad arte il verbale sull'orario dell'esondazione del torrente, in modo tale da farlo apparire impossibile da prevedere nel tentativo di scagionarsi per la mancata chiusura delle scuole.

Se la Vincenzi è amareggiata, di tenore opposto, invece, i commenti dopo la conferma della condanna da parte dei familiari delle vittime. Soddisfatti per il verdetto di appello. «Sono contento», spiega Flamur Djala, all'epoca cittadino albanese ma che nel corso del processo ha ottenuto la cittadinanza italiana. Lui nell'alluvione perse la moglie Sphresa, 28 anni, e le due figlie Gioia e Gianissa, otto anni e 10 mesi appena. «Sono contento - insiste - ma questa sentenza non mi ha cambiato niente perché i miei sono ormai morti e non me li riporta più indietro nulla». «Però - ha aggiunto Djala in aula - almeno questi qui soffrono un po'. Mi auguro che adesso dio faccia anche lui il suo dovere e li mandi all'inferno». Soddisfatto anche Marco Costa, il padre di Serena, che perse la vita quel giorno ad appena 19 anni, dopo aver preso il fratellino che usciva da scuola. «È stato confermato tutto quello che è emerso durante il dibattimento, cioè la responsabilità», sospira Costa. «Non sono riusciti a sminuirla perché non si poteva - ha proseguito - considerando che gli argomenti erano quelli, sono stati sviluppati in primo grado e analizzati in secondo.

Il passaggio in Cassazione ci preoccupa perché non sappiamo come possano andare le cose, ma siamo sempre stati fiduciosi e ci hanno dimostrato che comunque hanno tirato fuori la giustizia».

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