Weber: "L'intesa con il Pd non si fermi all'Italicum"

Il leader Ppe: "La collaborazione va estesa a tutte le riforme"

Weber: "L'intesa con il Pd non si fermi all'Italicum"

Roma - «L'Italia può sfruttare al massimo la flessibilità di bilancio prevista dai Trattati europei, ma deve avviare le riforme strutturali. E non solo in campo istituzionale». Manfred Weber è il presidente del gruppo Popolare europeo al Parlamento di Strasburgo. È tedesco. In più di un'occasione ha punzecchiato Matteo Renzi. Ora, invece, intravede (o meglio, valorizza) su un elemento che potrebbe agevolare il dialogo del governo con l'Europa.

Quale sarebbe?

«In Europa viene vista con favore la collaborazione che il partito di Berlusconi sta assicurando al governo nel campo delle riforme istituzionali. Credo, però, che il campo di azione debba essere esteso anche alle riforme economiche. In modo particolare, penso alla riforma del mercato del lavoro (non lo chiama Jobs Act, ndr ). C'è una bella atmosfera in Europa per quel che sta avvenendo in Italia. Penso che sia ulteriormente positivo se Berlusconi e Renzi si mettono insieme per trovare soluzioni. D'altra parte, ci sono solo due Paesi in Europa che registrano crescita negativa. Ed uno di questi è l'Italia».

Per favorire la crescita, però, servirebbe una maggiore elasticità sul deficit. Il risanamento dei conti pubblici ha un costo sociale. Le riforme strutturali hanno un costo politico. Quale dev'essere fatto per prima?

«Sono due facce della stessa medaglia. Solo con le riforme strutturali si ottiene maggiore flessibilità sul deficit. Ma per introdurle credo andrebbe riproposta ed allargata la collaborazione che Berlusconi garantisce a Renzi sulle riforme istituzionali. Ritengo, però, che queste siano riflessioni che devono essere fatte dal Parlamento italiano. Ed al momento, Renzi non ha bisogno di Berlusconi in Parlamento».

Un suo quasi omonimo, Axel Weber, anche lui tedesco, s'è dimesso dal board della Banca centrale in disaccordo con Mario Draghi per la politica monetaria della Bce. Lei, invece, che giudizio dà dell'operato della Bce?

«Premetto che, secondo me, l'indipendenza della Banca centrale debba essere sempre rispettata. In qualunque caso, credo che la Bce stia facendo un buon lavoro. Credo che sia positivo quanto Draghi sta facendo per difendere la moneta comune e favorire la crescita. Non dimentichiamo che ha messo a disposizione mille miliardi di euro («one trillion») per fronteggiare la deflazione europea. E proprio la deflazione europea sta erodendo posti di lavoro. E comunque, non vedo differenze tra la mia posizione e quelle della Germania».

Bhe, insomma...

«No, guardi, non è così. La missione della Bce è quella di contribuire alla crescita. Ma le scelte di fondo sono affidate alla classe politica. È la classe politica che deve decidere quali “politiche” seguire, non solo la Bce. Ma lo sta vedendo cosa avviene in Asia? Il problema di fondo, la vera domanda che deve farsi la classe politica europea, è: come possiamo far crescere l'Europa vista la concorrenza asiatica? La vera sfida del futuro è questa».

Cambiamo argomento, immigrazione. In passato ha detto: le frontiere italiane non sono solo quelle dell'Italia. Sono anche quelle della Finlandia. Mare Nostrum è finito, sostituito da Triton. Come deve cambiare la politica dell'accoglienza?

«La politica dell'immigrazione non dev'essere affidata unicamente all'Italia od a Malta. È un problema europeo. Credo sia opportuno un salto di qualità nella politica dell'accoglienza. Ed il Partito popolare europeo lo avverte come un impegno specifico. Con una distinzione di ruoli fra immigrati e rifugiati.

Credo sia necessario stringere accordi con i paesi rivieraschi per favorire il rientro degli immigrati. Ed al tempo stesso stabilire un sistema di quote di distribuzione dei rifugiati; come nel caso di chi sfugge a guerre e persecuzioni. Penso alla Siria e all'Afghanistan».

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