Milano - Volevano far passare tutto in sordina con un incontro «a porte chiuse». Ne è nato un putiferio. Hanno cercato di girare intorno al problema islam e alla fine il caso è scoppiato lo stesso. Anzi. Alla festa dell'unità di Milano il pasticcio è servito. E l'ha cucinato proprio il Pd.
Dopo una settimana di polemiche, Maryan Ismail ha rifiutato di partecipare all'evento di ieri. Un incontro «riservato» alla base, non un dibattito. Un «momento di formazione» in cui il partito l'aveva relegata fra le «testimonianze», senza neanche citare il suo nome nel programma. Lei, l'antropologa italo-somala, aveva fatto buon viso a cattivo gioco, predisponendosi a intervenire. Ma quando ha visto il resto del programma dedicato all'islam ha declinato «per non subire l'ennesimo atto di maleducazione». L'ha scritto in una lettera aperta, dura e circostanziata, che in poche ore è diventata «virale» in città. Un atto d'accusa politico, in cui la donna conosciuta ormai come simbolo dell'islam laico chiama in causa i vertici del partito. Con l'accusa di sempre: «Tutto dimostra quanto il Pd milanese e non solo, voglia rappresentare sempre di più l'ideologia ortodossa, escludendo ancora una volta la voce dei mussulmani laici e integrati nel tessuto sociale da decenni». «Mi viene da pensare - ha aggiunto - che il Pd milanese sia diventato il megafono dell'Ucoii e dintorni».
La rottura in realtà non è stata inaspettata. Ismail è stata a lungo dirigente Pd e nella segreteria rappresentava l'anima più liberal, vicina a Stefano Boeri. Renziana e impegnata sul fronte dei diritti civili, da militante è diventata spina nel fianco de suo (ex) partito. Ha criticato il piano moschee del Comun e soprattutto la scelta degli interlocutori, i vertici del discusso coordinamento dei centri islamici.
Ha atteso la vittoria dell'attuale sindaco Beppe Sala e ha lasciato il partito. Ora pare pronta a partecipare alla convention di Stefano Parisi, che anche da avversario ha sostenuto le sue battaglie. Certamente più dei suoi compagni.
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