L'animalismo in quanto difesa degli animali fa onore agli uomini, che dovrebbero essere, fra gli animali, i più intelligenti. Non fa più onore agli uomini quando diventa paternalismo (o maternalismo) intinto in una visione edenica, da Paradiso Terrestre, o, peggio ancora, disneyana, tutta baci, carezze e moine umanizzate. Fra l'altro, la scienza conferma che gli animali, soprattutto quelli con cui abbiamo più frequentemente a che fare, hanno un'anima. È nella parola stessa: «animale». Ma la scienza non aggiunge che hanno un'anima «contenente» gli stessi desideri, gli stessi sogni della nostra. Per esempio, siamo sicuri che il mulo abbia un'anima da ragioniere, da avvocato, da giornalista? Un'anima, insomma, che apprezza la vita comoda e tutta o quasi, come si diceva una volta, «di concetto»? Citiamo il mulo perché proprio a lui si sono rivolte le attenzioni di Michela Vittoria Brambilla, presidente del Movimento animalista, indignata dal fatto che l'Associazione Barcaioli e Lavandaie di Lodi vorrebbe affidare ai muli il traino di una vecchia gloria lombarda, l'omnibus «gamba de legn'», in pensione da oltre mezzo secolo. Leggi, regolamenti comunali e di polizia urbana lo vietano, dicono gli animalisti. E minacciano di portare (di trainare) la questione sui tavoli della Procura. Ma torniamo alla domanda di prima: l'anima dell'animale mulo si sentirebbe offesa se il corpo che la conduce fosse impegnato in un sovra-umano (ma non per questo sovra-animale) sforzo? Non lo sappiamo. Sappiamo, invece, quanto e come durante la Prima guerra mondiale i muli fossero affidabili e forti compagni degli alpini in una simbiosi perfetta, sui sentieri di montagna. E ce li immaginiamo mormorare anche loro, in «mulese», lungo le rive del Piave mormorante. Loro, insieme ai loro amici alpini, caddero a migliaia, e vinsero (o quantomeno non persero) quella guerra. E, andando più a ritroso nel tempo, sappiamo quanto ci disse maestro Esopo nel sesto secolo prima di Cristo. Il quale Cristo, fra l'altro, a dorso di un mulo stava volentieri, come tutti i bambini del mondo. È la favola dell'asino e del mulo. L'asino e il mulo avanzano insieme portando i loro basti di ugual peso. Ma l'asino protesta con l'uomo che li governa perché questi dà al mulo una doppia razione di cibo. Proseguendo il cammino, l'uomo nota che l'asino arranca, quindi trasferisce sul mulo parte del carico dell'asino. Ma avanzando ancora l'asino continua ad arrancare. E di nuovo l'uomo alleggerisce l'asino appesantendo il mulo.
A un certo punto l'asino proprio non ce la fa più, sicché al mulo tocca di portare tutto lui. Non prima di aver detto all'asino: «Che ne dici? Adesso ti sembro degno o no, della doppia razione di cibo?». Morale: il mulo è un gran lavoratore, ma non per questo è scemo. Sa riconoscere chi gli vuole bene davvero.
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