Maddalena poteva salvarsi: 14 anni al pusher siriano

Il pregiudicato non chiamò i soccorsi per 15 ore. L'amica della vittima condannata a due anni

Maddalena poteva salvarsi: 14 anni al pusher siriano

È rimasto a guardare per quindici ore Maddalena Urbani agonizzante senza chiamare i soccorsi, lasciandola morire quando avrebbe potuto salvarla. Per questo lo spacciatore di origini siriane, Abdulaziz Rajab, è stato condannato a quattordici anni di carcere.

La vita della figlia del medico Carlo Urbani, l'uomo che per primo al mondo isolò la Sars, si concluse a Roma il 27 marzo del 2021 a causa di un mix di droga e farmaci. Il pm Pietro Pollidori aveva chiesto per il pusher una condanna a 21 anni, ma ieri i giudici della prima Corte d'Assise, dopo oltre quattro ore di camera di consiglio, pur riconoscendo per lo spacciatore le attenuanti generiche hanno riconosciuto valido l'impianto accusatorio della Procura per il reato di omicidio volontario con dolo eventuale. Derubricata invece l'accusa per l'altra imputata, Kaoula El Haouzi, l'amica della vittima, che pagherà con due anni di carcere e per omissione di socorso.

In favore delle parti civili è stata stabilita invece una provvisionale complessiva di 170 mila euro. Alla lettura della sentenza la mamma di Maddalena, Giuliana Chiorrini, che era in aula assieme all'altro figlio è scoppiata in lacrime. «Ciò che interessava alla famiglia era sapere quello che è accaduto in quella casa - hanno commentato i legali, Giorgio Beni e Matteo Policastri -. Il processo ha accertato che se soccorsa la ragazza si sarebbe potuta salvare. Gli imputati hanno avuto 15 ore per allertare il 118 ma lo hanno fatto quando era già morta».

Quel 27 marzo, se l'sos fosse partito in tempo, Maddalena sarebbe ancora viva. Era arrivata nell'appartamento di via Cassia, dove è poi è morta, da Perugia, dove viveva da alcuni anni. Il corpo privo di vita della ventenne venne trovato dopo una segnalazione al 118. Ad ucciderla anche un abuso di oppiacei e l'assunzione di metadone. In quell'appartamento viveva il siriano 64enne, che era ai arresti domiciliari per spaccio di stupefacenti: trovate dosi di eroina, metadone e un mix di psicofarmaci. La ventenne si sentì male quasi subito e perse conoscenza. «Ricordo di averla distesa sul letto e di averle praticato il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca - ha raccontato uno dei test, un operaio di origini romene, in Corte d'Assise -. Avevo imparato queste tecniche dalla tv e da un corso di primo intervento in cantiere. Ricordo che la ragazza si riprese, di fatto l'ho fatta resuscitare». Ad allertarlo era stato il pusher. «Rajab mi ha chiamato sul cellulare - ha spiegato - era molto agitato, nel panico, perché una ragazza che era a casa sua era svenuta. Dopo che la ragazza si è ripresa ho consigliato a Rajab di allertare il 118 ma il giorno dopo ho sentito dai notiziari quello che era successo».

Una tossicologa e un medico legale indicati dalla Procura confermarono che morì per overdose. Si sentì male intorno alle ore 20 ma l'ambulanza venne chiamata solo alle 13 del giorno dopo. Un imperdonabile ritardo che non le ha lasciato scampo.

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