Il giorno dopo l'attacco di Luigi Di Maio a Mediaset, messa nel mirino dal capo politico del Movimento Cinquestelle per fantomatiche «velate minacce» a Matteo Salvini, arriva la replica di un uomo Mediaset. È il direttore di Tgcom24, Paolo Liguori, nel corso del suo programma «Fatti e Misfatti» a tornare sulle parole del leader dei Cinquestelle. E a rivelare un episodio della campagna elettorale che indica come Di Maio abbia cambiato rotta rispetto a qualche settimana fa.
«Sono testimone oculare, ho assistito di persona a una rassicurazione di Luigi Di Maio. Qualche giorno prima del voto, in campagna elettorale aveva detto che non avrebbe mai toccato Mediaset». «Di Maio» racconta Liguori, «in un colloquio privato, davanti a testimoni, tra cui anche un suo importante consigliere e deputato dei Cinquestelle, mi ha detto: Mi devi credere, non cambieremo la nostra linea sulle televisioni. Avevamo un vecchio programma che ormai è stato superato. Nel movimento sono cambiati i vertici, con me al comando quel programma è cambiato e non toccheremo in alcun modo la televisione privata, non metteremo mai mano a Mediaset». «Il capo politico dei Cinquestelle», conclude il direttore di Tgcom24, «nel corso del nostro colloquio non ha negato che potrebbe pensare a qualcosa per la Rai, ma lo ha negato per Mediaset».
Il riferimento è, dunque, a un episodio specifico, avvenuto alla presenza di Liguori e di altre persone. Cosa è accaduto, dunque, da allora? Ciò a cui Liguori fa riferimento è l'affondo da parte di Di Maio sul conflitto d'interesse, un tema tornato d'attualità nel momento in cui è fallito il tentativo di spaccare il centrodestra. Un delitto perfetto che avrebbe consentito di depotenziare Salvini e, nello stesso tempo, eliminare il vero competitor elettorale, ovvero la coalizione che nel marzo scorso ha vinto le elezioni con 5 punti percentuali di vantaggio su M5s.
L'affondo di Di Maio, probabilmente, puntava a scaldare i cuori o meglio la pancia non solo del proprio elettorato, ma anche dell'elettorato del Pd, riesumando un terreno di odio comune. A suo modo, poi, con la minaccia di un intervento sul patrimonio privato di un avversario politico intendeva tentare una sorta di affettuosità nei confronti di Salvini, così da tenere vivo il dialogo con quella che era la prima scelta dei grillini per raggiungere il tanto sospirato governo. Parole inconfutabili le sue: «Le tv di Berlusconi lanciano minacce velate a Salvini nell'eventualità che lui si stacchi da Berlusconi. È arrivato il momento di metterci mano e di dire che un politico non può possedere organi di informazione in Italia. Dobbiamo ambire a che in Italia l'informazione sia il più libera possibile ed è chiaro che dobbiamo fare qualcosa sulla governance Rai e sulle tv private».
Lo spettro delle leggi ad personam da votare anche a tutela del povero leader della Lega «prigioniero» di Berlusconi (il Fatto Quotidiano aveva tirato fuori addirittura le fidejussioni a favore del Carroccio del 2001 per spiegare la fedeltà di Salvini al patto elettorale) non ha però scalfito la resistenza del numero uno del Carroccio.
Che con un sorriso e una scrollata di spalle ha replicato: «Grazie Di Maio ma sono in grado di difendermi da solo. Il divorzio da Berlusconi? Non è vero, non vedo perché dovrei cambiare idea ogni quarto d'ora, non faccio mica come Renzi e Di Maio».
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