Un massacro annunciato. Quel decreto-sicurezza dimenticato dal governo

Il ministro di Giustizia deve garantire la sicurezza nei tribunali. Ma nonostante gli allarmi di prefetti e toghe nessuno lo ha fatto

Un massacro annunciato. Quel decreto-sicurezza dimenticato dal governo

Il governo sapeva. Il ministero della Giustizia aveva l'obbligo di garantire la sicurezza, ma nessuno s'è mosso. Fino agli spari, fino al sangue. Claudio Giardiello, con la sua lucida follia criminale, ha spezzato vite umane. Ma nel gorgo della morte innescato dall'imprenditore campano sono stati risucchiati anche gli stracci dell'ipocrisia indossati da chi avrebbe dovuto tentare di impedire il massacro al tribunale e non l'ha fatto.

Il re è nudo. A Palazzo Chigi nessuno può dire di non aver mai saputo in che condizioni versassero, sotto il profilo della vulnerabilità, le aule di giustizia di tutta Italia. Non può mostrare sorpresa il guardasigilli Andrea Orlando. Non può fingere di cadere dal pero il ministro dell'Interno Angelino Alfano. Già si era sparato a Reggio Emilia nel 2007 ed a Varese nel 2002, ma appena a fine marzo, in riferimento al tribunale di Savona, era stato il prefetto della cittadina ligure, Gerardina Basilicata, a lanciare l'allarme per iscritto: «Anche dall'ingresso principale è possibile l'introduzione di qualsiasi oggetto, pure di eventuali strumenti offensivi, esplosivi e armi». A gennaio, durante una manifestazione dell'Anm, era toccato al procuratore capo di Pistoia Paolo Canessa denunciare i rischi del palazzo di giustizia pistoiese: «Non abbiamo telecamere né metal detector , nessun sistema di controllo. Eppure, abbiamo avuto tre denunce di aggressioni a giudici ed altrettanti feriti». E lo stesso ministro Orlando a fine novembre era andato a Palermo per discutere, spiegava ai giornalisti, «dei problemi della sicurezza all'interno del tribunale», lasciando una promessa: «Metteremo a punto una norma nella legge di stabilità per procedere con tempi certi».

Parole e storie che spazzano via ogni dubbio: al tavolo del governo non era un mistero il fenomeno dei tribunali colabrodo, porti di mare dove - come successo proprio a Pistoia nel febbraio del 2014 - può capitare che qualcuno entri indisturbato nella stanza d'un giudice chiudendolo dentro per protestare contro le decisioni prese in udienza. Del resto, cosa si dovesse fare per evitare situazioni del genere a via Arenula era noto anche normativamente. Il 20 gennaio scorso, in Gazzetta Ufficiale , è apparso il decreto adottato dal guardasigilli il 18 novembre 2014, recante il regolamento per l'applicazione, nell'ambito dell'amministrazione della giustizia, delle disposizioni in materia di sicurezza e salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro. Un coacervo di disposizioni finalizzate «a disciplinare l'organizzazione e le attività dirette ad assicurare la tutela della salute e sicurezza negli ambienti di lavoro dell'amministrazione della giustizia», tenuto conto «delle esigenze che caratterizzano le attività e gli interventi svolti per garantire l'ordinato esercizio della funzione giurisdizionale e la tutela dell'incolumità del personale e degli utenti contro pericoli di attentati, aggressioni e sabotaggi».

Al netto del burocratese, e con la furia della cavillosità italica, una certezza: «Nelle sedi di uffici giudiziari sono presenti le peculiarità organizzative e funzionali preordinate a realizzare il livello di protezione e tutela del personale operante e degli impianti e delle apparecchiature contro il pericolo di attentati, aggressioni, introduzioni di armi ed esplosivi, sabotaggi di sistemi». Non c'è bisogno di inchieste. A Milano lo Stato ha mostrato la sua inefficienza, ma è a Roma che più d'uno deve dare spiegazioni. Chiare, convincenti, subito.

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