"Meglio un piccolo lavoro che rimanere disoccupati"

Ferdinando Beccalli Falco, numero uno di General Electric Europa: "Serve più flessibilità all'interno dei contratti. La difesa dell'articolo 18? Condanniamo i giovani a una vita senza occupazione"

"Meglio un piccolo lavoro che rimanere disoccupati"

Cernobbio (Co) - «L' Italia ha bisogno di un calcio, di una scossa». Nani Beccalli Falco è un manager di lungo corso. Conosce il nostro Paese, ma nella vita ha fatto soprattutto il globetrotter : ha vissuto a lungo negli Stati Uniti, in Giappone, in Olanda. Da cinque anni è approdato in Germania, dove ricopre la carica di ceo di General Electric Europa. La sua è una visione internazionale che non dimentica le origini. L'Italia in recessione, l'Italia dei troppi disoccupati lo fa soffrire.

Ingegnere, molti sollecitano una cura alla tedesca per il nostro Paese, soprattutto per il mercato del lavoro. Ma il modello tedesco è davvero esportabile?

«La riforma del mercato del lavoro è costata all'allora cancelliere Schroeder la sconfitta nelle elezioni. Ma quella riforma ha rappresentato per i tedeschi una vera e propria svolta, consentendo di dare un notevole impulso all'economia, poi diventata la quarta a livello mondiale. Così trovo irragionevoli le polemiche sui mini job: un mini lavoro è pur sempre meglio della disoccupazione».

In Italia si potrebbe dunque partire con l'introduzione dei mini job?

«Ciò che manca al nostro Paese è la figura dell'apprendista. Una volta un giovane operaio della Fiat o di un'altra azienda poteva dimostrare il proprio valore durante il tirocinio, poteva crescere e migliorare le proprie capacità professionali. Bisogna tornare a quel modello, e ciò significa introdurre elementi di flessibilità all'interno dei contratti di lavoro».

Quindi anche rendendo più semplici i licenziamenti?

«Sarò franco: serve libertà di licenziamento totale se si vuole rianimare l'economia».

Sull'abolizione dell'articolo 18 si è però di nuovo scatenata la bagarre...

«Preferisco non commentare, ma mi sembra l'ennesimo segnale di uno scarso senso di appartenenza nazionale e di un'incapacità di capire che stiamo condannando i giovani a una vita senza lavoro».

Le misure varate da Mario Draghi non sono quindi sufficienti a stimolare la crescita e a rilanciare consumi stagnanti da troppo tempo?

«La Bce, da sola, non può farcela. Draghi ha introdotto provvedimenti senza dubbio di aiuto all'economia, ma il cui effetto è destinato a esaurirsi in poco tempo. Anche il quantitative easing , il programma con cui la Federal Reserve ha trascinato gli Stati Uniti lontani dalla crisi, in Europa rischierebbe di avere solo un effetto calmieratore senza tuttavia sciogliere i nodi fondamentali».

E quali sono questi nodi?

«L'assenza di una politica fiscale e industriale comune, anche se credo che la nomina di Jean-Claude Juncker a capo della Commissione potrà dare un contributo alla risoluzione dei problemi che l'intera Europa si trascina dalla sua fondazione. In ogni caso, ci vorrà tempo, ma sono convinto che attraverso un miglior e maggiore coordinamento delle strategie il Vecchio continente possa diventare la prima potenza economica mondiale».

Lei conosce bene Angela Merkel: che idea se ne è fatto?

«Sono innamorato della Cancelliera. Quatto anni fa, quando ebbi occasione di conoscerla in occasione di un pranzo, non mi impressiono molto. Col tempo ho avuto invece modo di apprezzarne le doti da vero leader, con una straordinaria capacità di saper ascoltare, di assorbire le idee altrui e poi di rielaborarle. E poi, da decidere. In fretta».

Le schermaglie telefoniche con Draghi sono vere o frutto della fantasia della stampa?

«Credo che la Merkel abbia tutto il dirito di chiamare il capo della Bce e che tra i due non vi sia alcun dissenso».

Il numero uno della Bunddsbank, Weidmann si è però opposto al taglio dei tassi.

«Weidmann è un acuto banchiere che fa gli interessi della Germania».

A Renzi verrà concesso il tempo per portare il Paese fuori dal guado?

«Il premier non può aggiustare 40 anni di sprechi, di corruzione e di mala gestione. Bisogna lasciarlo lavorare».

Molti dicono che la colpa della crisi italiana è dell'euro, visto che il nostro Paese non può reggere un sistema di cambi fissi.

«L'euro non ha alcuna colpa. Pensare di garantire futuro a un Paese attraverso le svalutazioni è di una miopia assoluta. La nostra crisi non ha origine dal virus dei mutui subprime del 2008, ma ha radici che affondano nella metà degli anni '70: da allora abbiamo sempre avuto problemi di competitività e di scarsa crescita».

Deve però ammettere che un euro che fino a poche settimane fa flirtava con quota 1,40 dollari non è sostenibile, se non per la Germania.

«Guardi, anche per Berlino quei livelli non sono tollerabili, se consideriamo che il 40 per cento dell'export tedesco è extra-Ue. Un punto di equilibrio sarebbe attorno a 1,18 dollari, ma va sottolineato che in tutti questi anni non abbiamo avuto a che fare con un euro forte, ma a un deprezzamento pilotato del dollaro».

Quali sono i progetti di General Electric in Italia? Avete nel mirino

nuove prede, dopo l'acquisizioni di Nuovo Pignone e Avio?

«Non si tratta di prede, ma di investimenti. Che continueremo a fare. Per Avio è previsto un piano di investimenti quinquennali da un miliardo di dollari».

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