Missione Usa fallita: declino Merkel

Angela ridimensionata dal viaggio a Washington. Pesano i rifiuti su Iran e dazi

Missione Usa fallita: declino Merkel

È ancora la più grande leader europea o si sta rivelando un grande bluff? E la locomotiva tedesca traina l'Unione perché ha lei ai comandi o perché si avvale di una delle più floride, ma anche più ciniche ed egoiste economie del pianeta? Da mesi un dubbio agita Berlino e Bruxelles. Un dubbio ancor più attuale all'indomani della doppia sconfitta incassata a Washington da Angela Merkel. Nonostante l'atteggiamento remissivo e compiacente nei confronti di un Donald Trump, liquidato un anno fa come un presidente di serie B, la Cancelliera è rientrata dagli Usa con in tasca un umiliante due di picche. Non è riuscita a ottenere né una dilazione sull'entrata in vigore, il primo maggio, dei dazi su acciaio e alluminio, né la disponibilità di Trump a mantenere in vita quell'accordo sul nucleare iraniano che garantisce alla Germania, ma anche all'Italia e all'Europa, redditizi commerci con l'Iran. L'insuccesso è solo l'ultimo d'una lunga serie di sconfitte, errori e debacle. Il più grave ed ingiustificato resta l'abbaglio del 2015 quando la Merkel apre le porte all'invasione dei migranti scatenata dalla Turchia di Erdogan. Da quell'errore madornale deriverà la crescita esponenziale dei cosiddetti partiti «populisti» non solo in Europa, ma persino nella sua Germania.

E il passo falso giocherà un ruolo non irrilevante nella decisione degli elettori inglesi di pronunciarsi nel 2016 per l'addio all'Europa. Senza contare il solco scavato con Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia, ovvero quel blocco di Visegrad deciso a rifiutare qualsiasi intesa su accoglienza e redistribuzione dei rifugiati. Ma la cantonata del 2015 non avrebbe condizionato così pesantemente gli umori europei se non fosse stato preceduto dall'egoistica pretesa di Berlino di piegare il resto dell'Unione, Italia in primis, ai suoi diktat finanziari. Una pretesa apparsa quasi crudele quando la Merkel impose il più severo rigore ad una Grecia che proprio in virtù di tanta durezza finì con il guadagnarsi l'immeritata simpatia di parte delle opinione pubbliche europee. Un altro errore gravido di conseguenze è la rottura con Vladimir Putin decisa nel 2014 in ossequio alle politiche di Obama. In cambio dell'allineamento su Ucraina e sanzioni a Mosca la Cancelliera spera allora d'incassare atteggiamenti più concilianti sul colossale surplus di una Germania le cui esportazioni negli Usa superano di 65 miliardi di dollari quelle americane. La strategia appare oggi fallimentare.

Mentre l'arrivo di Trump rimette il surplus tedesco al centro del contenzioso la Cancelliera deve far i conti con il malumore delle aziende tedesche preoccupate dal peso di quelle sanzioni a Mosca che rendono sempre più costose le importazioni di metalli russi mettendo ulteriormente a rischio un settore automobilistico e metallurgico già minacciato dai dazi americani. In questo contrastato scenario interno c'è persino chi accusa la Cancelliera di non esser mai riuscita a dominare appieno la scena elettorale ritrovandosi così costretta a condividere tre dei suoi quattro mandati con gli avversari socialdemocratici.

E l'ombra d'una Cancelliera dimezzata s'allunga ora anche su una scena europea dominata dall'esuberanza di un Macron deciso a proporre la rifondazione dell'Unione.

Una rifondazione basata, tra l'altro, sulla creazione di un bilancio europeo e di un ministro delle finanze unico. Due misure che sembrano studiate apposta per ridimensionare e mettere definitivamente all'angolo l'ingombrante Cancelliera.

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