Cronache

Nei centri per baby-profughi la fabbrica dei nuovi Moussa

Il Viminale stanzia 52 milioni per accogliere i minori. Sbai: "Lì i ragazzi grandi indottrinano i più piccoli"

Nei centri per baby-profughi la fabbrica dei nuovi Moussa

Una nuova terribile inquietudine. Una denuncia che alza ulteriormente l'asticella dell'allarme. La fabbrica dell'odio che alimenta la jihad si può nascondere dietro ai centri di accoglienza, dentro al fenomeno migratorio dei «minori», o presunti tali. Ne è convinta Souad Sbai, giornalista italiana di origine marocchine, esperta di islam e integralismo: «In un centro siciliano - la premessa - ho incontrato ragazzi considerati minori, ma io ho parlato con loro e avevano sicuramente da 19 anni in su. Oltretutto - riflette - minore si può considerare un 14enne, ma per la cultura arabo-islamica lui può essere il capofamiglia anche a 9-10 anni, comanda madre e sorelle, quindi arriva nel nostro tessuto sociale come un adulto. È un errore lasciarli nei centri di accoglienza, qualcuno ci guadagna e tanto. Io dico diamoli in affido alle famiglie che hanno fatto tante domande».

Sono 25.846 i minori non accompagnati sbarcati nel corso del 2016. Al 31 luglio 2017 siamo già a quota 12.656, un numero che supera già il dato dell'intero 2015. E il Fondo asilo, migrazione e integrazione del Viminale, ai primi di agosto, ha pubblicato un bando con 52 milioni di euro per nuovi progetti destinati alla prima accoglienza dei minori, che si aggiungeranno ai 20 già finanziati con l'avviso dell'aprile 2016. Souad Sbai è preoccupata e riferisce di aver presentato denunce formali alla Procura sull'abbandono delle scuole dell'obbligo di 6 bambine su dieci.

Ma è sull'accoglienza che accende i riflettori oggi: «Nei centri di accoglienza si radicalizzano - racconta - in quello che ho visitato, in Sicilia, erano 140, la metà erano già radicalizzati. A un incontro pubblico, all'ora della preghiera, a un cenno si sono alzati tutti insieme, cosa che non accade neanche a una conferenza internazionale di teologia».

Altro segnale inquietante, in una struttura simile che si trova nel Lazio: «Due di quei ragazzi, che per me non sono minori, hanno almeno 20 anni, sono già jihadisti, manifestano propensione al proselitismo e atteggiamenti di aggressività. Sono fenomeni nascosti, non si lasciano vedere, ma c'è grande tensione, e un'attesa di qualcosa. È così in tanti centri». Forte di una lunga esperienza in materia, di studio e sul campo, l'esperta ha pochi dubbi: «Io li conosco e dopo neanche 5 minuti io li riconosco, li ho studiati e vedo cose preoccupanti». «Molti ragazzi- riflette Sbai - sono scappati dal Marocco o dalla Tunisia e sono andati in Siria a combattere, da lì poi non tornano nei Paesi di provenienza ma in Italia, o in Spagna, o in altre parti». «Poi non si possono deradicalizzare se arrivano così. Altri si radicalizzano qui, l'uno con l'altro e c'è sempre qualche esterno che può gestirli, condizionarli».

A marzo il Parlamento ha varato proprio la nuova legge sui minori non accompagnati. La prima in Europa ma per Sbai niente è cambiato: «Non c'è un programma vero. Noi per fortuna non abbiamo seconde o terza generazioni, serviranno ancora 2-3 anni ma se noi li importiamo da fuori ci sarà un totale inquinamento fra pochi anni». La soluzione? «Monitorare, avere numeri precisi e informazioni, sentire i loro Paesi, verificare se i genitori li stanno cercando, e poi i nomi e i cognomi, e io dico anche lavorare sul rimpatrio». La giornalista è realista: «I minori possono essere un cavallo di troia, possono essere spietati il giorno dopo, bisogna essere molto chiari se non vogliamo svegliarci come Barcellona.

A noi ci lasciamo come frutta, ci possono fare male, molto male».

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