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Nel conflitto Usa-Russia l'Europa è scomparsa (e rischia la bancarotta)

Francia defilata, Germania ferma, Draghi esitante. E la crisi potrebbe costarci miliardi

Nel conflitto Usa-Russia l'Europa è scomparsa (e rischia la bancarotta)

Ma l'Europa dov'è? A Ginevra, Vienna e Bruxelles fervono, da lunedì, le trattative per evitare un devastante scontro Nato-Russia sui territori europei o, ben che vada, una nuova guerra fredda foriera di gravi conseguenze economiche ed energetiche. In tutto ciò l'Ue è letteralmente assente. Non se ne scorge la presenza né a Ginevra, né a Bruxelles, né a Vienna, le tre capitali dove i diplomatici di Russia, Usa, Nato e Osce cercano di evitare che la la crisi Ucraina e lo scontro tra Casa Bianca e Cremlino ci trascinino ad un punto di non ritorno. Un'assenza suicida visto che le nazioni europee sarebbero le prime a far le spese di uno scontro armato o, in alternativa, delle sanzioni con cui Joe Biden punta ad isolare la Russia impedendole qualsiasi rapporto economico con l'Occidente. Uno scenario da brivido in cui l'Italia dovrebbe rinunciare a 7 miliardi di esportazioni annue verso Mosca. E rimediare altrove per quel 47 per cento di gas russo usato oggi per sopperire al fabbisogno energetico. Ma sul fronte del gas la Germania starebbe ancora peggio visto che dipende dalla Federazione Russa per almeno due terzi delle forniture. Per non parlare di un Made in Germany costretto a rinunciare ai 23 miliardi fatturati annualmente ai clienti russi. E non riderebbe nemmeno la Francia costretta a dire a addio a 5 miliardi di export e a un quarto del gas.

Un autentico gelo siberiano si abbatterebbe su paesi come Austria, Lettonia, Repubblica Ceca e Lituania dove riscaldamento ed energia dipendono per oltre il 60 per cento dalle condutture di Gazprom. Di fronte a scenari così devastanti l'assenza politica e diplomatica dell'Unione è difficilmente spiegabile. Certamente pesa l'irrilevanza politica e militare dimostrata in tutte le crisi internazionali. Dalla crisi ucraina fino a quella afghana passando per la Cina l'Unione Europea non ha mai saputo assumere una posizione autonoma. Un'irrilevanza su cui gioca un Vladimir Putin persuaso dell'inutilità di discutere con Bruxelles quando alla fine decide solo Washington. Ma a moltiplicare l'insignificanza contribuisce l'immobilismo di paesi chiave come Germania, Francia e Italia. La Francia di Macron, benché il semestre di presidenza europea scattato il primo gennaio le affidi il ruolo di timoniere dei 27, resta succube delle manovre di un presidente timoroso di giocarsi la rielezione all'Eliseo. E immobile appare anche una Germania dove il rapporto con Mosca resta l'elemento potenzialmente più disgregante per la nuova coalizione di governo in cui il premier Olaf Scholz incarna le consueta disponibilità socialdemocratica verso il Cremlino mentre Annalena Baerbock, la leader verde responsabile degli esteri, è su posizioni decisamente atlantiste.

In questa palude europea l'Italia avrebbe i titoli per riprendersi il ruolo di grande mediatore tra Nato e Cremlino, regalatole da Silvio Berlusconi al tempo summit di Pratica di Mare del 2001, e affidarlo alle mani di Mario Draghi. L'indiscusso atlantismo del nostro premier non gli ha impedito di affrontare nel corso degli ultimi quattro mesi altrettanti colloqui telefonici con Vladimir Putin.

Ma purtroppo anche l'Italia fa i conti con un'inevitabile paralisi presidenziale. Una paralisi aggravata dai dubbi di un Draghi più impegnato, fin qui, a valutare la distanza tra Palazzo Chigi e Quirinale che non a mettere la propria autorevolezza al servizio dell'Italia e dell'Europa.

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