Roma - La risposta alla Brexit? Più Europa, non meno Europa. Più investimenti e concretezza e non solo attenzione alle questioni. Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, in un colloquio con il Corriere ha fornito una soluzione personale della crisi politico-economica innescata dal referendum britannico. «L'Europa non può occuparsi solo di banche: le stiamo stabilizzando, continueremo a farlo; ma dobbiamo occuparci anche dei cittadini perché qui c'è un problema di consenso sociale diffuso: bisogna che i cittadini ricomincino a pensare che l'Europa sia una buona idea», ha detto.
Insomma, per contrastare la disintegrazione delle istituzioni comunitarie occorre impostare un'agenda di priorità che abbia ai primi posti l'immigrazione, la sicurezza e la lotta alle diseguaglianze. «Dobbiamo essere capaci di autocritica e collegare meglio crescita, lavoro, welfare ed eguaglianza», ha sottolineato precisando che «se si cresce di più, se c'è più lavoro, c'è meno diseguaglianza». Per Padoan e Renzi è una grande occasione - testimoniata pure dalla convocazione a Berlino di domani - di rimettere al centro il documento italiano contro le poltiche di austerity che era passato del tutto inosservato a Bruxelles nei mesi scorsi. Il titolare del dicastero di Via XX Settembre ha soprattutto ricordato la proposta di istituire «un'assicurazione comunitaria contro la disoccupazione ciclica».
C'è, però, una contraddizione in termini nelle parole di Padoan, solo parzialmente accennata nel suo discorso. Il settore bancario non è solo al centro della politica della Commissione Ue, ma anche di quello italiano. Mai nessun governo, prima di quello guidato da Matteo Renzi, ha preso così tanti provvedimenti riguardanti gli istituti di credito e non sempre ha agito in autonomia. L'esecutivo italiano tra l'inizio del 2015 e questa prima metà del 2016 ha rivoluzionato la legislazione bancaria. Prima ha messo mano alla riforma delle Popolari obbligando quelle con attivi sopra gli 8 miliardi a trasformarsi in spa (con tutti gli strascichi giudiziari che ne sono seguiti viste le disavventure di Banca Etruria e della Popolare di Vicenza). Poi, ha messo mano alla riforma del credito cooperativo obbligandolo ad accorparsi sotto una centrale comune. Da non trascurare, infine, i decreti sul recupero delle garanzie reali dei mutui (case subito alle banche se si saltano 18 rate non consecutive) e gli interventi normativi sulla commercializzazione delle sofferenze. Leggi ispirate da Bruxelles o direttamente o indirettamente (vedi la moral suasion per far nascere il Fondo Atlante) per porre rimedio ai provvedimenti comunitari che penalizzavano l'Italia.
Difficile, perciò, porsi in maniera credibile se si ha alle spalle questo tipo di produzione legislativa, ma è troppo ghiotta l'occasione di far sentire la voce dell'Italia, troppo spesso inascoltata. È la stessa storia che ieri ha provato a raccontare Il Sole 24 Ore pubblicando nuovamente un titolo a caratteri cubitali «Europa, svegliati!». Si tratta di una riedizione di quel «Fate presto» con il quale il quotidiano di Confindustria, diretto come oggi da Roberto Napoletano, invitava il Parlamento a «investire su persone che, per la loro storia e i loro comportamenti, abbiano dimostrato di conoscere la lingua dei mercati».
Quell'endorsement preventivo al governo di Mario Monti rappresentava un via libera a quelle politiche che hanno peggiorato il clima recessivo e le cui conseguenze le industrie italiane stanno scontando ancora oggi. Ieri il Sole ha auspicato che il vertice Germania-Francia- Spagna dia il via libera a un'Europa che «metta in comune debiti e politiche espansive». Forse bisognava pensarci cinque anni fa.
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