Dopo il dramma c'è la rabbia. E poi l'effetto domino. È ciò che sta accadendo in queste ore in Trentino dopo la scomparsa di Andrea Papi, il runner di 26 anni ucciso da un orso sui sentieri di Caldes. Ieri la famiglia del ragazzo, che si è già affidata ad alcuni legali, ha annunciato la volontà di denunciare la Provincia autonoma di Trento e lo Stato per aver reintrodotto gli orsi nella regione. L'intenzione sembra essere quella di contestare le modalità con cui è stato messo in campo il progetto «Life Ursus», senza un referendum consultivo tra la popolazione della zona. D'altronde la madre di Andrea, Franca Ghirardoni, era già stata dura nelle ore scorse: «Hanno voluto il morto e ora c'è. Saranno gli avvocati a parlare per noi - aveva detto - Nessuno ci ha vietato di andare nel bosco. Se un ragazzo che va a camminare sulla montagna sopra casa viene ucciso da un orso forse qualcuno delle responsabilità se le dovrà assumere». Nell'ultimo periodo in quella zona erano stati segnalati una decina di esemplari e l'ultima aggressione si era registrata solo un mese fa nella vicina Val di Rabbi, dove un uomo era stato ferito alla testa e a un braccio. Così, dopo quella che entrerà nella storia delle tragedie per essere la prima morte di un essere umano in Italia provocata da un orso, la polemica si è levata in tutto il Nord Est. Ed è partito l'effetto domino.
La prima certezza è l'abbattimento dell'orso che ha ucciso il 26enne e di altri tre esemplari definiti problematici e nominati con delle sigle. Ad ufficializzarlo è il presidente della Provincia autonoma di Trento Maurizio Fugatti, che ha firmato l'ordinanza per l'abbattimento dell'animale che ha ucciso il runner e ha aggiunto: «La presenza di oltre un centinaio di esemplari sul territorio trentino non è sostenibile. Si spostano in un'area ampia circa 1.500 chilometri quadrati, pari a un quarto dell'intero territorio provinciale, e fortemente antropizzata. Il numero andrebbe dimezzato». Una posizione fortemente avallata dai sindaci dei comuni della Val di Sole, che da tempo chiedono di ridurre il numero degli orsi sulle montagne locali. Ma alle origini dell'emergenza di oggi c'è un programma di ripopolamento faunistico avviato circa un ventennio fa: il tanto discusso «Life Ursus».
Si cominciò tra il 1999 e il 2022 col rilascio di 10 esemplari provenienti dalla Slovenia per ripopolare i boschi trentini. Uno studio di fattibilità dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica aveva accertato l'idoneità ambientale di un territorio sufficientemente ampio ad ospitare una popolazione vitale di plantigradi, che costituiva l'obiettivo finale del progetto, ma il numero previsto degli orsi trentini negli anni a venire avrebbe dovuto attestarsi tra i 40 e i 60 esemplari. Qualcosa invece è andato storto e la proliferazione è stata massiccia. Per questo motivo la famiglia di Andrea Papi oggi vuole mettere in discussione quel programma e le istituzioni locali spingono per ridurre il numero degli orsi nella zona. Ma l'effetto domino della morte del ragazzo non ha ancora perso spinta e dopo le parole del presidente Fugatti è arrivata la mobilitazione degli animalisti. «Fugatti finalmente getta la maschera. Il suo obiettivo non è quello di garantire la sicurezza dei cittadini ma di massacrare la popolazione ursina del Trentino, uccidendone 50 esemplari fino a dimezzarla», interviene l'Ente Nazionale Protezione Animali.
Dure anche la Lega Anti Vivisezione e l'Organizzazione internazionale protezione animali, mentre è diverso l'approccio del Wwf Italia: «Se un individuo mostra conclamati comportamenti pericolosi per l'incolumità umana, arrivando ad aggredire mortalmente una persona, la rimozione di questo individuo diminuisce i rischi di nuovi episodi simili e migliora l'accettazione sociale della popolazione verso la specie».
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