V a a finire che dovremo cambiare un po' anche la nostra lingua. Per definire una persona generosa diremo che è buono come una barretta. Per indicare un parassita lo additeremo come un mangia-galletta-di-mais a ufo. E certo non potremo più asserire che una merce molto richiesta va via come il pane.
È di pane che parliamo. Quotidiano. Duro. Sacro al punto che molte massaie si rifiutavano di gettarlo via, e se proprio dovevano lo baciavano prima. Simbolo stesso dell'alimentazione, della ricompensa per il lavoro, della semplicità, della famiglia, in qualche modo della vita. Eppure eccolo scomparire dalle nostre tavole. Uno studio della Coldiretti/Ixe quantifica in 90 grammi al giorno il consumo pro capite: due fette piccole, immaginiamo una a pranzo e una a cena. Roba da somministrazione omeopatica. Nel 1861, anno dell'unità d'Italia, ognuno dei nostri avi se ne rimpinzava: 1,1 kg al dì. Ancora nel 1980 ne mangiavamo 230 gr. Oggi quei 90 gr. Ci siamo proprio tolti il pane di bocca. Ma non ne dobbiamo andare orgogliosi.
Filone. Michetta. Ciriola. Rosetta. Ciabatta. Francesino. Brustengolo. Coppia ferrarese. E poi: di Altamura, di Genzano, di Matera, di Castelvetrano, di Sorc, di Padula. Carasau. Pitta. Cafone. Grissini. Sono alcune delle declinazioni locali del pane nell'Italia dei mille tesori. Ma questa ricchezza di sapori e preparazioni, di tradizioni e di ingredienti non salva l'alimento che per secoli è stato base della nostra alimentazione, poi si è adattato a fare da apprezzato chapéron e ora rischia un altro downgrade : l'ospite inatteso, quando addirittura non sgradito.
Dice, c'è crisi. È vero, ma non è quello. Il pane resta un bene supereconomico malgrado i forni si travestano da boutique. A Napoli costa ancora mediamente 1,90 euro al kg e a Bologna, dove è più caro, non supera i 3,95 euro. Quindi sarebbe il cibo della crisi per eccellenza. Non a caso è considerato il bene anelastico per definizione, secondo il modo in cui il gergo dell'economista designa quelle merci la cui domanda resta stabile al modificarsi del prezzo.
No, qui dietro c'è dell'altro. Le intolleranze? Fuochino. In Italia ci sono circa 150mila celiaci diagnosticati, ma il ministero della Salute ne stima almeno quattro volte tante. Anche se aggiungiamo coloro che l'intolleranza al glutine se la autodiagnosticano («ho smesso di mangiare pane e pasta perché mi gonfiavano») non basta a giustificare un tale tramonto di crosta e mollica.
La risposta vera sta nelle nostre fissazioni alimentari. Il pane è il nemico pubblico numero uno dopo essere stato per secoli l'amico del cuore. Milioni di italiani sono in perenne lotta con la bilancia e adottano diete codificate o selvagge, ragionevoli o assurde, sotto controllo medico o fai-da-te. Tutte hanno un punto fermo: sono low carb , ovvero a basso tasso di carboidrati, quegli zuccheri che servono come riserva di energia per il nostro corpo che si comporta da vecchio saggio: e quindi li accumula. Ergo, per perdere peso e sbianchettare il girovita vanno ridotti. E il pane, alimento di complemento per eccellenza, è il primo a sparire. Pain perdu chiamano i francesi un dessert di recupero. Pane perduto diciamo noi, e non c'è nulla di dolce.
di Andrea Cuomo
Il costo massimo di un chilo di pane a Bologna; a Napoli invece si trova anche a 1,90
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