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"Il Papa è quasi una rock star e così torna ad affascinarci"

Il successo di «The Young Pope» conferma il ritorno, iniziato con Wojtyla, della figura del Pontefice al centro del dibattito

"Il Papa è quasi una rock star e così torna ad affascinarci"

The Young Pope di Sorrentino è stata la serie televisiva di Sky con il debutto più visto di sempre: 953mila spettatori medi per le prime due puntate e un profluvio di commenti sui social. Regista sulla cresta dell'onda, Sorrentino, e attore super star, Jude Law, hanno contribuito al successo. Ma alla fin fine la vera super star è lui, il Papa. Forse una delle poche figure icona rimaste nella modernità. Da Dan Brown in poi le trame ambientate in Vaticano funzionano sempre. Tanto per dire, in libreria ora c'è il romanzo Conclave di Robert Harris. Questo senza contare decine di altri gialli e altri libri inchiesta più o meno documentati, o i film come quello di Moretti. Ma perché il Vaticano e il Papa destano così tanta attenzione? Ne abbiamo parlato con Massimo Introvigne, direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni e grande esperto di sociologia delle religioni.

Come mai tutta questa attenzione mediatica verso il Papa?

«Questa visibilità secondo me fa molto bene alla Chiesa. C'è stato un momento in cui la figura del Papa destava pochissima attenzione, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II. Paolo VI era un grande intellettuale, ma non era molto mediatico. Negli anni Settanta la visibilità della Chiesa si era molto appannata. Poi una serie di Papi molto visibili, a modo suo lo era anche Ratzinger, hanno ridato centralità alla figura del Pontefice. Anche quando lo sguardo è anticattolico, ad esempio in Dan Brown questo è dichiarato, il fatto che la Chiesa sia di nuovo al centro del dibattito è un bene».

Il Papa della serie di Sorrentino è ritratto in moltissimi momenti quotidiani. Negli ultimi anni la vita privata dei Pontefici è finita sotto i riflettori, è un bene?

«È un fatto inevitabile. Il mondo dell'informazione è cambiato ed il Pontefice è sovraesposto. Ma questo non riguarda solo la chiesa».

Il Papa di Sorrentino decide di non mostrare più la sua immagine...

«Il Pontefice è un personaggio pubblico e questa credo sia una parte insopprimibile del suo ruolo. Ratzinger saggiamente quando ha capito di non avere più la forza di sostenere le apparizioni pubbliche ha deciso di ritirarsi».

I Papi contemporanei sono un po' come delle rock star? La loro immagine deve essere gestita?

«È un fenomeno iniziato con Giovanni Paolo II. Wojtyla capì che la tradizionale filiera della Chiesa - dal prete al Pontefice passando per i vescovi e i cardinali - non funzionava più. Perciò organizzò i raduni di massa, accorciò la distanza tra Papa e fedeli. È una strategia che presenta dei rischi, ma ha funzionato puntando i riflettori sul Papa».

Il Papa viene rappresentato come dubbioso o ambiguo sia nel film di Moretti, sia nella serie di Sorrentino. Ha un senso?

«Nelle opere letterarie e cinematografiche i dubbi dei Pontefici secondo me vengono ingigantiti. Ma è un fatto che a partire da Paolo VI i Pontefici hanno dovuto affrontare una modernità in rapido cambiamento e questo ha creato loro difficoltà di comunicazione. Da un lato c'è necessità di mostrare vicinanza alla gente, la dottrina dell'amore, dall'altro esistono principi inderogabili. Tenere in equilibrio i due versanti non è facile».

La curia è rappresentata sempre in modo un po' negativo, anche se Sorrentino è più sfumato di altri...

«Viviamo in un'epoca che non ama l'establishment. e la curia lo è. Il mito del leader in lotta con l'establishment che gli mette i bastoni fra le ruote funziona in tutti gli ambiti. Ovviamente è un mito semplificante».

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