Quando indossiamo l'uniforme, smettiamo di essere donne, siamo solo numeri. È come se perdessimo i nostri diritti». Patrizia Bolognani è assistente capo al reparto prevenzione del crimine della polizia di Padova e ha 47 anni, ventisei dei quali passati in strada, a pattugliare la città. È tostissima, ma ci tiene a precisare che non è un'eroina, la battaglia contro il crimine per lei è quotidianità: «Faccio solo il mio lavoro, certo... Se ci dessero qualche garanzia in più...». E il problema è tutto qui: i poliziotti si sentono abbandonati. E sono nel mirino. «In Italia ci sono all'incirca quindicimila donne in divisa, anche se nell'immaginario comune l'agente continua a rimanere un uomo». E anche per i criminali non c'è alcuna differenza.
L'aggressione subita a Rimini da Margherita Buttarelli è prassi. Ma nessuno ne parla. La donna picchiata, se ha una divisa, non fa notizia. Non ci sono femministe pronte a prenderne le difese o a scendere in piazza. Non è abbastanza rosa per interessare le partigiane delle quote, perché il poliziotto - per una certa sinistra - resta sempre un uomo nero. Anche se non è neppure un uomo.
«Quando un criminale si scaglia contro un agente volano sputi, botte e insulti - racconta la Bolognani, che è anche rappresentate sindacale del Coisp - Non importa il sesso del poliziotto. Anzi, nei confronti delle donne i criminali sono ancora più feroci. E poi ci sono gli insulti a sfondo sessuale. Se le botte sono una ferita esteriore, questi insulti sono una violenza interiore. Ne riceviamo quotidianamente, nell'indifferenza generale. Anche delle istituzioni. Perché poi in Procura queste offese non contano nulla, mentre se ci avessero insultate fuori dal servizio sarebbe un'aggravante».
Intanto l'aggressore della poliziotta di Rimini è già a piede libero: «Anche questo è normale. Non mi stupisce. In Italia non c'è certezza della pena. Noi arrestiamo una persona e dopo pochi giorni è già fuori. E spesso li incontriamo per la strada. Capisce quanto può essere pericoloso?».
Sputi, insulti e violenza: «Lo scorso 27 luglio, durante una manifestazione dei No Tav, un gruppo di pacifisti ha preso a sassate un'agente. Ci mancava solo la lapidazione... Lei lo ha letto da qualche parte?». C'è più interesse per i diritti dei criminali che per la sicurezza degli agenti, il primo avamposto dello Stato, quello più vicino ai cittadini. A partire dalla classe dirigente, che latita: «Si è abbassata la soglia del rispetto nei nostri confronti. Anche perché sembra che la politica dica che dobbiamo subire...».
Ma le donne in divisa, non vogliono nessun favoritismo, nessun vantaggio. Solo la possibilità di poter operare in condizioni dignitose. «Chiediamo da anni di poter utilizzare delle armi alternative. Come avviene in tutti i paesi d'Europa. Nello scontro corpo a corpo con i criminali dovremmo poterci difendere con lo spray anti aggressione. Ora è legale per i normali cittadini ma per noi è ancora vietato. Oppure il taser». La famosa pistola elettrica che il ministero dell'Interno dovrebbe aver messo a disposizione delle forze dell'ordine. «Dovrebbe», il condizionale è obbligatorio.
«Non abbiamo ancora niente! Per ora il taser è in sperimentazione, ci vorranno anni prima che ce lo diano. Così come le nuove regole di ingaggio: noi le abbiamo lette sui giornali. Non ne sapevamo nulla. Ho l'impressione che le abbia scritte qualcuno che in strada non c'è mai stato...».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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