La polemica sugli statali ancora una volta protetti, ed esclusi dalla nuova flessibilità introdotta col Jobs Act, anziché placarsi si estende. E Matteo Renzi prova a sfilarsi e a rilanciare la palla al Parlamento: ammette che la questione è ancora aperta e che «c'è una giurisprudenza nell'uno e nell'altro senso», ma dice che «non sarà il governo a decidere», perché a febbraio, «quando arriverà in Parlamento il provvedimento sul Pubblico impiego firmato da Marianna Madia saranno le Camere a scegliere. Non mancherà il dibattito, certo».
Il premier sa bene che la questione è delicata: divide la maggioranza, spacca il Pd, eccita i sindacati. Alla vigilia di un momento politico difficile come sarà la prossima scadenza del voto per il Colle rischia di alimentare tensioni pericolose, che per il momento e meglio evitare. Tanto più che il premier insiste per avere entro gennaio la legge elettorale e non cede sulla clausola per farla entrare in vigore solo nel 2016: «Prima di parlarne voglio vedere il testo finale della legge». Ma nelle stesse file renziane si respira delusione per la riforma incompiuta: «Se si fa la rivoluzione copernicana, come dice Matteo, non si può farla a metà», sospira un esponente Pd vicino al premier, «purtroppo abbiamo pagato dazio ai conservatori della sinistra». Nella sostanza, si ammette, ha ragione Pietro Ichino: la riforma era stata pensata dal governo anche per il settore pubblico, perché la dicotomia tra lavoro privato e lavoro pubblico iper garantito è «poco sensata e non esiste altrove». Solo che tornarci sopra sarà complicato: Renzi rinvia alle decisioni parlamentari (post voto sul Quirinale), ma «convincere Fassina & company a rimuovere la distinzione sarà dura».
Ichino ieri è tornato alla carica, raccontando le trattative alla vigilia del Consiglio dei ministri della vigilia di Natale. Nell'ultima bozza di decreto «sfornata dai tecnici ministeriali», spiega il giuslavorista e senatore di maggioranza, era stato infilato un comma che escludeva esplicitamente i lavoratori pubblici. Ichino lanciò subito l'allarme a governo e maggioranza, chiedendo la soppressione di un comma che «sancirebbe l'intoccabilità dei pubblici dipendenti». E il comma sparì dal testo votato in Consiglio, con l'assenso di Madia e Poletti, che ora negano l'estensione del Jobs Act agli statali: «Evidentemente hanno cambiato idea rispetto alla seduta del 24, ritenendo che si debba tornare indietro rispetto alla riforma Bassanini del 2001. Ma dovranno convincerne il resto del governo e della maggioranza. Mi sembra molto improbabile».
Anche per Ncd la questione è tutt'altro che chiusa: «Il governo - sottolinea Maurizio Sacconi - si impegnò ad attuare la norma vigente che lo impegna alla unificazione tra pubblico e privato. Ora ci spieghi perché no. E non ricorra a ragioni formali perché sarebbero a favore della nostra tesi». La capogruppo Nunzia De Girolamo si appella a Renzi: «Si dimostri innovatore e vari regole uguali per tutti», mentre Roberto Formigoni chiede «una valutazione seria e severa» della posizione del partito a sostegno di Renzi. Il ministro del Lavoro Poletti però esclude che si riaprano «trattative» e ripete che «quando abbiamo varato la delega abbiamo sempre fatto esclusivo riferimento al lavoro privato».
Renzi però lascia aperto uno spiraglio: «Sarà il Parlamento a decidere», e sbatte la porta in faccia alla Camusso che si dice «pronta a tutto» per cambiare il Jobs Act: «Non sono il tipo che si lascia spaventare dalle minacce, men che mai della Cgil».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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