A Roma un giovane maestro è stato arrestato e carcerato per violenze sessuali nei confronti di piccoli dai tre a cinque anni. Ad Alessandria una professoressa è stata presa di mira da un gruppo di studenti che hanno approfittato della sua fragilità, fisica e psicologica, per vessarla e deriderla, e lei ha deciso di non sporgere denuncia ritenendo che la punizione inflitta dalla scuola, una sospensione di un mese con obbligo di frequenza, sia sufficiente a dar loro una lezione di vita. Questi due fatti della settimana seguono a moltissimi altri episodi in cui le vittime sono state a volte i docenti e a volte gli alunni. Quello che stupisce delle due storie della settimana e delle altre di cui ormai si racconta, quotidianamente, è che presidi e colleghi non intervengano mai prima che le situazioni degenerino producendo violenza.
Bambini abusati, maestre aguzzine, insegnanti picchiati e umiliati all'interno di istituzioni dove dovrebbe imperare la massima sicurezza per tutti. Mentre i docenti si sentono sotto assedio lo Stato sta fermo a guardare. Vittorio Lodolo D'Oria, medico esperto in burnout degli insegnanti, l'ha definita nel suo libro una «Scuola di follia». Secondo lui gli insegnanti sono stremati da un lavoro di relazione psichicamente usurante. Lo attestano le loro malattie professionali con diagnosi psichiatrica nell'80% dei casi, per un rapporto asimmetrico, asfissiante e prolungato che oggi non è più riconosciuto dalla società, né tutelato dalle istituzioni per quanto attiene la loro salute mentale. Il conflitto tra docenti, alunni e i loro genitori ha raggiunto livelli di aggressività mai visti prima. Anna Arecchia insegna matematica al liceo scientifico Quercia di Marcianise: «Anche la professoressa accoltellata dal suo alunno a Santa Maria a Vico non sporse denuncia dopo l'aggressione preferendo la via del perdono. Dopo il fatto è stata insignita del premio Donna coraggio per la pace. Per meritare la medaglia al valore dobbiamo diventare martiri?».
Da un lato studenti con un disturbo della condotta e genitori che non sanno educare al rispetto, e dall'altro una fascia d'insegnanti più deboli, né supportati né tutelati, che non riescono a gestire una classe composta in modo eterogeneo, dove i bulli e i ragazzi in difficoltà sono in costante aumento. «Noi insegnanti siamo responsabili di vite in formazione, possiamo determinare successi o in casi di giovani già compromessi facilitare suicidi». Lo Stato dovrebbe selezionare il corpo docente tenendo conto anche dell'attitudine all'insegnamento.
In questa professione non bastano le nozioni a stabilire con gli adolescenti una relazione positiva che renda assimilabile la didattica. «Serve severità ma anche sensibilità ed empatia. Purtroppo molti colleghi ne sono completamente sprovvisti» conclude Arecchia.
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