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"Re mafioso e polizia criminale". Rapper in cella, Spagna divisa

Pablo Hasél sconterà 9 mesi per apologia di terrorismo. Il mondo della cultura manifesta per la libera espressione

"Re mafioso e polizia criminale". Rapper in cella, Spagna divisa

In rete è tutto un «Forza Pablo», «Siamo con te», «non ti lasciamo solo», «la strada è con te», qualcuno cita anche una sua canzone «mai resterò nel carcere della paura». La maggior parte dei messaggi di incoraggiamento sono in spagnolo, qualcuno in catalano, come il popolo a cui si rivolge. Il rapper Pablo Hasesl arrestato ieri in Spagna e condannato a nove mesi di carcere per «glorificazione del terrorismo» e insulti alla monarchia, per tweet e canzoni pubblicati fra il 2014 e il 2016, canta proprio quella rabbia e quella fatica a rimanere sotto al potere di uno Stato che non riconosce più, di quella frustrazione e insofferenza verso le istituzioni che hanno ignorato quando avrebbero dovuto ascoltare, che hanno represso quando erano piene le piazze. Nelle sue canzoni c'è tutta l'avversione per la famiglia reale spagnola e le forze dell'ordine. L'arresto è giunto dopo uno stallo di circa 24 ore, in cui il rapper e oltre 50 suoi sostenitori si erano barricati nell'università di Lleida, nel nordest della Catalogna. L'obiettivo era quello di sfuggire all'incarcerazione, e attirare l'attenzione su una campagna per la libertà di parola. Martedì mattina gli agenti, in tenuta anti-sommossa, hanno arrestato il rapper, scortandolo fuori dall'università. «Vinceremo, non ci piegheranno con tutta la loro repressione, mai!», ha detto il cantante 32enne mentre passava davanti alle telecamere.

La Corte nazionale aveva emesso un mandato d'arresto a suo carico lunedì, dopo che venerdì era scaduto il periodo di 10 giorni che avrebbe avuto a disposizione per consegnarsi volontariamente in prigione e iniziare a scontare la pena. A sostegno di Pablo, il cui vero nome è Pablo Rivadulla Duro, oltre 200 artisti che hanno firmato una petizione; fra loro anche il regista Pedro Almodovar e l'attore Javier Bardem. Nella petizione, si chiedeva di evitare il carcere: «L'incarcerazione di Pablo Hasel lascia una spada che pende sulla testa di tutte le figure pubbliche che osino criticare apertamente le istituzioni dello Stato» e «siamo consapevoli che se consentiamo che Pablo venga imprigionato, domani potranno inseguire ognuno di noi, finché non saranno riusciti a silenziare ogni sospiro di dissidenza», si legge nel testo. In questi anni di lotta dura dei catalani, Pablo è stato il megafono in rima di quest'intolleranza che cova e si radica tra le generazioni più giovani. Se la prende con i simboli, la monarchia prima di tutto, «Borboni parassiti», «Re mafioso», e ha gioco facile a sparare sull'ex re Juan Carlos, il più impresentabile della Storia, fuggito negli Emirati Arabi, in esilio e accusato di aver rubato milioni di euro, tormentato dalle amanti che oggi gli presentano continuamente i conti. Il rapper ce l'ha anche con il figlio, re Felipe VI per quello che rappresenta, per come ha gestito la questione catalana, perchè ha imposto ordine e disciplina. Pablo canta e il suo popolo applaude unito, parla dell'Eta, esalta la lotta, in disgrazia insieme è meglio, per ricordare soprattutto, per tenere calda la voglia di non piegare la testa. La scorsa settimana, a sorpresa, seppur senza citare nello specifico il caso Hasel, la coalizione di sinistra al governo in Spagna ha annunciato che intende apportare delle modifiche al codice penale per eliminare le pene detentive per reati che coinvolgono la libertà di espressione, in particolare se sono coinvolte attività artistiche e culturali.

Ma la proposta è stata respinta dall'opposizione conservatrice del Partito popolare e dall'estrema destra di Vox.

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