Il rebus concessioni: Di Maio giura vendetta. Atlantia non ci sta

Il vicepremier preannuncia ancora la revoca La holding: «Mai risparmi sulla sicurezza»

Il rebus concessioni: Di Maio giura vendetta. Atlantia non ci sta

«Lotteremo fino alla fine per dare giustizia alle famiglie distrutte dalla tragedia del Ponte Morandi». Il vicepremier Luigi Di Maio ieri su Facebook ha continuato la propria battaglia personale contro Atlantia e la sua controllata Autostrade per l'Italia. «Se vieni pagato e fai profitto per gestire un'infrastruttura dello Stato e non lo fai, ci sono delle conseguenze che si chiamano revoca della concessione!», ha aggiunto.

«L'Italia è il nostro Paese, non ci facciamo dettare la linea dalle multinazionali!», ha proseguito Di Maio, spiegando che «da giorni stiamo assistendo alla fiera dell'ipocrisia e dell'immobilismo». Secondo il ministro dello Sviluppo, «non gridarono allo scandalo dopo la tragedia del Ponte Morandi e nessuno di loro ha gridato allo scandalo nemmeno dopo ieri, quando l'esperto di esplosivi (Danilo Coppe, intervistato anche da il Giornale; ndr) ha ammesso che già nel 2003 Autostrade gli chiese di demolire il ponte, ma poi non se ne fece più nulla per via dei costi: è bene allora che i Benetton chiariscano anche questo passaggio, nel dettaglio».

L'ennesimo attacco ha provocato l'immediata reazione di Autostrade per l'Italia che ha ricordato come «il progetto del 2003 relativo alla demolizione con esplosivi del Ponte Morandi era in realtà un semplice studio di fattibilità commissionato da Spea», controllata della concessionaria. Dunque, prosegue la nota, «ogni ipotesi che tale studio di fattibilità fosse correlato a eventuali problemi del Ponte Morandi, come pure che la scelta finale sia stata fatta sulla base di considerazioni economiche di costo, è dunque totalmente fantasiosa e pretestuosa».

Il governo, però, è deciso ad andare avanti. Il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, ha annunciato che «venerdì sera è arrivato il parere degli esperti in supporto al ministero e da quello che emerge, possiamo iniziare a dire che c'è stata una grave inadempienza». Ovviamente, è l'unica strada che l'esecutivo può perseguire per evitare di corrispondere al concessionario il lucro cessante in caso di revoca unilaterale, ossia i 20 miliardi attesi fino alla scadenza della concessione nel 2042.

La giusta causa per la risoluzione deve essere provata per via giudiziaria. Ecco perché il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, ha sottolineato che «non ha senso prendere decisioni prima che terminino la procedura penale in corso e anche quella amministrativa per inadempimento contrattuale». Anche per questo motivo l'esponente leghista ha espresso contrarietà all'ingresso di Atlantia in Alitalia in quanto «è assolutamente inopportuno intavolare negoziati con soggetti con cui sei in contenzioso: a me sembra improponibile e da evitare».

Il capogruppo M5s al Senato, Stefano Patuanelli, ha assunto il ruolo di agit-prop. «Forse è bene ricordare un po' di numeri della holding controllata dai Benetton», ha commentato ricordando che «dall'analisi dei bilanci alla mano viene fuori che negli ultimi 13 anni Atlantia ha messo a segno ricavi complessivi per 57,4 miliardi di euro, di cui 44,7 miliardi come ricavi da pedaggio e 10 miliardi di utili». Argomenti capziosi per sollecitare la pubblica punizione.

«Il signor Di Maio parla di Atlantia e di Autostrade come se lì dentro non ci fossero i risparmi di tanti

cittadini italiani», ha replicato il coordinatore di Fi, Giovanni Toti, rimarcando che «un ministro che dice faremo un danno a una società in cui ci sono i risparmi di tutti noi credo che non sia degno di fare il ministro».

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