Il reddito di cittadinanza? È un pasticcio da 40 miliardi

La proposta M5S suona bene ma è un imbroglio: 780 euro garantiti a tutti sarebbero un salasso per i conti pubblici e non aiuterebbero la ripresa del mercato del lavoro

Il reddito di cittadinanza? È un pasticcio da 40 miliardi

Suonano bene, ma sono un imbroglio. Parliamo del reddito di cittadinanza da un lato, e del taglio delle «pensioni d'oro» per assistere chi ha perso il lavoro in età avanzata dall'altro. Suonano bene, ma se solo ci si ragiona un po' si capisce che tali proposte diventano una trappola mortale e distruttiva per la finanza pubblica, per il mercato del lavoro e per il nostro welfare. Insomma, specchietti per le allodole.

I senatori del Movimento 5 stelle propongono l'introduzione del reddito di cittadinanza. La proposta prevede il sostegno delle entrate per tutti i soggetti che abbiano compiuto 18 anni, cittadini italiani, residenti in Italia, con un reddito inferiore alla soglia di rischio povertà Istat, 780 euro netti al mese (9.360 euro l'anno). Il reddito di cittadinanza è erogato dall'Inps; può essere integrativo di eventuali altre entrate inferiori a 780 euro; non è tassato e non è pignorabile. Il costo stimato della proposta è di 17 miliardi nel 2015, di 16 miliardi dal 2016 in poi. Le coperture derivano dall'aumento delle tasse: dalla tassazione sui giochi alle addizionali; dall'introduzione di un'imposta sui grandi patrimoni all'ennesimo contributo di solidarietà progressivo sulle pensioni d'oro. Un bengodi per tutti: disoccupati; in cerca di occupazione; né-né, che non cercano lavoro e non studiano. Tanto paga Pantalone.

Ma andiamo con ordine. Oltre che rischiare di innescare un meccanismo esplosivo in termini di spesa pubblica; generare comportamenti opportunistici; rendere permanente il welfare passivo, clientelare e assistenziale, la proposta di «reddito di cittadinanza» produce almeno tre effetti negativi sul nostro mercato del lavoro.

Primo: è un meccanismo spaventosamente costoso e incrementale. Una volta iniziato, quei soldi sono come una droga che produce assistiti cronici e la spesa si cumula con l'invecchiare delle coorti generazionali. Secondo effetto: diminuisce il tasso di occupazione. Chi mai accetterà un contratto a termine, part-time o saltuario, a 800-1.000 euro, quando grazie al reddito di cittadinanza può avere una somma equivalente senza fare niente, e magari integrarla lavorando in nero? Da qui il terzo effetto: aumenta il salario minimo al quale una normale forza lavoro è disposta a prendere un impiego. Morale: il reddito di cittadinanza finisce per condizionare fortemente l'offerta di lavoro e distruggere capitale umano.

Inoltre, sul piano teorico la proposta del M5S fa una gran confusione tra: 1) reddito di cittadinanza: ammontare di reddito pagato dal settore pubblico a ogni adulto residente, a prescindere dal fatto che sia povero o ricco, che voglia lavorare o meno (è uno strumento universalistico); 2) reddito minimo di inserimento: contributo erogato dalle amministrazioni locali alle famiglie che vivono con un reddito inferiore alla soglia di povertà; 3) salario minimo: il livello di retribuzione al di sotto del quale non si può andare nei rapporti tra privati. Quest'ultimo è previsto in altri Paesi europei e negli Usa, ma è a carico del datore di lavoro. Nella proposta del M5S l'integrazione tra reddito di cittadinanza e quello percepito sarebbe a carico dello Stato.

Un altro aspetto discutibile della proposta grillina, anche nel confronto internazionale, riguarda la mancanza del requisito della «condizionalità», così può arrivare a coinvolgere almeno 10 milioni di individui, per un costo che potrebbe superare i 40 miliardi. Inoltre, anche in quei Paesi in cui è tutelata non solo la disoccupazione (chi perde il lavoro), ma anche l'inoccupazione (chi è alla ricerca del primo impiego), il soggetto tutelato non può rifiutare le offerte che vengono inoltrate dai centri per l'impiego. Appunto, la condizionalità. Nell'impostazione del M5S, in caso di rifiuto di 3 offerte consecutive si perde il diritto al reddito di cittadinanza. Ma presuppone un'elevata efficienza dei centri per l'impiego, e un'economia in crescita.

Infine, in Italia non abbiamo una struttura amministrativa in grado di gestire un reddito di cittadinanza, per cui finiremmo soltanto per erogare prestazioni di cui si perderebbe ben presto il controllo. Il nostro sistema è impostato per tutelare chi ha perduto il lavoro e la misura della prestazione è ragguagliata al tempo in cui si è lavorato.

Proprio per questo sarebbe più opportuno investire nelle politiche attive, in modo da garantire un effetto inclusivo attraverso il lavoro. Nel frattempo si potrebbero sperimentare forme di reddito di ultima istanza a livello locale.

Ultimo in ordine di tempo, su misure di sostegno a favore in particolare dei 55-65enni che hanno perso il lavoro, si è esercitato il presidente dell'Inps, Tito Boeri, che «coprirebbe» l'intervento con le risorse derivanti da un riordino delle pensioni più alte che, a suo dire, «non sono giustificate dai contributi versati». Non si capisce, però, perché Boeri proponga radicali cambiamenti delle leggi che avrebbe il dovere di applicare e che assicurano stabilità.

Dal punto di vista macroeconomico, il sistema pensionistico italiano non solo è in equilibrio, ma rappresenta una delle soluzioni più avanzate in Europa. Inoltre, qualsiasi intervento non può aggirare i parametri fissati dalla recente sentenza della Corte Costituzionale secondo cui non sono ammissibili misure che non riguardino l'intero sistema. Se non vuol fare demagogia a Boeri non resta che intestarsi il tentativo di un'ennesima riforma complessiva di tutto l'impianto. Noi rimaniamo con i piedi per terra, pur consapevoli dei grandi squilibri sociali che caratterizzano il sistema. Ma come misurarli? È maggiore il privilegio di chi gode di una pensione elevata, ma ha versato contributi per 40 anni oppure il baby-pensionato, che ha versato contributi per meno di 20 anni e percepisce una pensione per oltre 40 anni?

Purtroppo le regole attuariali non lasciano grande spazio alla fantasia. Per quanto ci riguarda non faremo sconti a forme di ingiustificata e iniqua caccia alle streghe. Certamente Boeri saprà che tutte le pensioni sono da considerarsi «privilegiate», in quanto la rendita è sempre superiore ai contributi versati. Per il principio costituzionale dell'applicazione universale se si adottasse il metodo Boeri dell'equivalenza tra contributi e rendita dovrebbero essere tagliate tutte le pensioni, a partire da quelle di anzianità e da quelle sociali, che hanno un livello di intervento dello Stato maggiore. In realtà, quando Boeri parla delle coorti comprese tra i 55 e 65 anni, finisce per portare l'Inps a farsi carico di una nuova infornata di prepensionamenti.

Grillini e Boeri, dunque, fanno proposte che suonano bene, ma che in realtà distruggono i conti pubblici e il mercato lavoro; creano lavoro nero e un esercito di assistiti. Producono un insopportabile allarme sociale tra tutti i pensionati.

Portano, cioè, risultati esattamente opposti a quelli dichiarati. Concediamo ai dilettanti e ingenui grillini il beneficio della buona fede, ma non si può in alcun modo giustificare chi, a sinistra, bocconiano o meno, cavalca di fatto proposte demagogiche. È da irresponsabili.

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