Renzi: "L'Italia mantiene le promesse". Ma lui no

Dai debiti della Pa alle privatizzazioni alle pensioni, tutti gli impegni mancati del governo

Renzi: "L'Italia mantiene le promesse". Ma lui no

Roma - «Un anno fa avevo fatto l'elenco della lista delle cose che volevamo fare. Adesso sono molto contento che quelle promesse siano al 90% già realizzate». Il premier Matteo Renzi, in trasferta a New York, ha presentato ai potenziali investitori esteri un catalogo del riformismo «made in Italy» un po' troppo patinato. A ben guardare, infatti, i prodotti del governo Renzi paiono di qualità inferiore a quella propagandata.

Se si osserva il versante economico, infatti, non sempre la volontà di realizzare cambiamenti positivi si è tradotta in risultati effettivi. A partire dal pagamento dei debiti della pubblica amministrazione. Aveva promesso di pagare tutti quei 60 miliardi entro San Matteo (21 settembre) del 2014. Sono passati 373 giorni e quel bubbone è ancora lì, anzi è aumentato perché nel frattempo le aziende pubbliche hanno continuato a pagare in ritardo i propri fornitori.

C'è una riforma nel cassetto di Renzi che il presidente del Consiglio vorrebbe realizzare quanto prima: la flessibilizzazione dell'età di pensionamento, consentendo ai 62enni con più di 35 anni di contributi di uscire qualche anno in anticipo (ma con una penalizzazione) dal mondo del lavoro. L'ex sindaco di Firenze, a ogni piè sospinto, afferma che il discorso sarà affrontato con la legge di Stabilità, ma aumentare il conto della manovra di 8-10 miliardi necessari a finanziare la promessa senza aumentare le tasse è impossibile, visto il fermo diniego della Commissione Ue dinanzi alle aperture renziane.

Il compito sarebbe meno arduo se il premier avesse veramente portato a termine una seria spending review, realizzando quei 30 miliardi di tagli messi nel mirino dall'ex commissario Cottarelli. Ma i tagli recidono il consenso e così tanto i risparmi quanto le privatizzazioni sono andati a rilento. E così, dinanzi alla promessa di abolire Imu e Tasi sulle prime case, Bruxelles non può fare a meno di esternare le proprie rimostranze toccando un nervo scoperto di Renzi. «Quali tasse ridurre lo decidiamo noi», ha replicato ieri il primo ministro, visibilmente irritato.

Il capo del governo si vanta spesso della qualità delle riforme istituzionali. Portata a casa una legge elettorale su misura del Pd come «partito della nazione» (e quindi fortemente penalizzante per il centrodestra), è a un passo dall'ok alla riforma del Senato. Il compromesso raggiunto con la minoranza dem , però, rende impossibile comprendere se i nuovi senatori saranno eletti dai consigli regionali o ratificati (e quindi designati) dai consigli regionali stessi.

Insomma, la forma delle riforme prevale sulla sostanza. Non si tratta di casualità: basta guardare agli ultimi atti per riscontrare una serie di difetti. La riforma della Rai (che di fatto consegna il potere al dg nominato dal governo) è impantanata. Il Jobs Act non ha contribuito alla creazione di nuovi posti di lavoro, ma alla stabilizzazione con contratti a tutele crescente per i dipendenti assunti con contratti a termine.

La riforma della scuola è servita soprattutto alla stabilizzazione dei docenti precari, piuttosto che a rafforzare l'autonomia dei presidi e il collegamento tra istruzione e mondo del lavoro, entrambi oggetto dei veti del sindacato. Ecco perché la lista delle riforme renziane non sempre corrisponde alla verità dei fatti.

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