Renzi si gode il Jobs Act e dà uno schiaffo a Prodi

Il Senato dà il via libera al patto sul lavoro mentre il premier nazionalizza l'Ilva. E definisce un errore la "controriforma" delle pensioni varata dal Professore

Renzi si gode il Jobs Act e dà uno schiaffo a Prodi

Roma«È un giorno storico per il Paese». Matteo Renzi saluta così la fiducia del Senato sul Jobs Act: con166 sì, 112 contrari e un astenuto, la riforma del lavoro ora è legge. Il governo così avrà tempo fino a giugno (6 mesi) per tradurre il suo contenuto in 5 decreti: ammortizzatori sociali, servizi per il lavoro, semplificazione delle procedure e degli adempimenti; riordino delle forme contrattuali; tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro. Una road map a cui la sinistra di Sel ha già dichiarato guerra.

Ma Renzi passa oltre e guarda a ben altri esempi, come Mario Draghi. Nel senso che anche il presidente del Consiglio adotta il lessico del presidente della Bce con i suoi «strumenti non convenzionali» di politica monetaria. Lessico grazie al quale lo spread è sceso a 124 punti. Ecco, Renzi sembra voler percorrere la stessa tecnica di comunicazione e a Montecitorio dice che il governo «è pronto ad utilizzare strumenti non convenzionali», per combattere la disoccupazione al Sud. E se per Draghi si parla di acquisto di titoli pubblici, per Renzi è «un intervento pubblico, per un certo periodo di tempo» per l'Ilva di Taranto. Con l'obbiettivo - spiega il premier - «di consentire all'azienda di affrontare le questioni ambientali e poi tornare sul mercato».

Piccolo problema. Interventi come quelli tratteggiati dal presidente del Consiglio non sono consentiti da Bruxelles. Rientrano fra quelli classificati come «aiuti di Stato». Vale a dire, devono essere negoziati. Non a caso, Renzi ipotizza una «nazionalizzazione a tempo» come soluzione ultima, qualora non dovessero andare in porto soluzioni come il salvataggio dell'azienda da parte di gruppi italiani o internazionali.

Ad ostacolare la «nazionalizzazione a tempo» sarà soprattutto la Germania che non vede l'ora di semi-monopolizzare il mercato dell'acciaio europeo. D'altra parte proprio Berlino, nel 2008, ha nazionalizzato a tempo le banche - attraverso la sua Cassa depositi e prestiti - per evitarne il fallimento. E Renzi sembra pronto ad aprire un altro fronte con la Merkel; da aggiungere a quello sulla flessibilità di bilancio e sul Piano Juncker: che non piace un granché nemmeno al premier.

Nel 2008, poi, sarebbe dovuto entrare in vigore il cosiddetto «scalone Maroni» sulle pensioni. Sul tema, Renzi recita il mea culpa . «Nella mia onestà intellettuale - annuncia - ho ritenuto un errore del mio partito abolire lo scalone Maroni per le pensioni». Ma quella del presidente del Consiglio è tutt'altro che un'apertura verso al Lega (piuttosto è un ulteriore presa di distanza da Prodi che, da premier, cancellò quella riforma delle pensioni).

Un attimo dopo, infatti, Renzi accusa la Lega di «terrorismo mediatico e demagogia pura, che alla fine si ritorcerà contro chi la fa». Rivolgendosi ai leghisti, aggiunge: «che una parte che alimenta la rabbia e la preoccupazione dei cittadini. Ma se ci diamo da fare ce la possiamo fare».

La parte rimanente del question time alla Camera, Renzi la dedica ad argomenti vari. Ribadisce che è intenzione del governo ridurre il numero delle aziende municipalizzate. «Il loro numero è una vergogna inaccettabile». Rispondendo a Sel commenta: «qualcuno della vostra parte politica diceva “anche i ricchi piangano”.

Credo che il vero obbiettivo della sinistra riformista sia che “anche i poveri devono sorridere”, attraverso un diverso modello di crescita e politica industriale».

C'è spazio anche per la Libia. Il presidente del Consiglio annuncia che il Paese «corre una fase di difficoltà straordinaria e corre il rischio di diventare l'hub del terrorismo internazionale».

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