Partire per la corsa alla Casa Bianca con i favori del pronostico non è necessariamente una garanzia di vittoria, e forse nemmeno un vantaggio. Ci sono stati diversi casi famosi nella recente storia americana, e certamente merita ricordare quelli di Richard Nixon, il quale credeva di farsi un boccone di un certo John Fitzgerald Kennedy, e di Gerald Ford, che a lungo faticò a farsi una ragione della sconfitta patita ad opera del semisconosciuto Jimmy Carter, ribattezzato dai giornalisti «Jimmy Who?» («Jimmy chi?»). Ma forse il caso più interessante fu quello di George Bush padre, che nel 1992 si trovò ai blocchi di partenza sospinto dell'onda lunga avviata da Ronald Reagan e da un'ancor più lunga serie di trionfi in politica internazionale e interna. Finì umiliato, invece, da tale Bill Clinton dell'Arkansas, emerso vincente nelle primarie democratiche da un mazzo di sette oscuri pretendenti di un partito allora allo sbando (i soliti impietosi media americani li avevano soprannominati i Sette Nani): che sarebbe un po' come se nell'Italia di oggi trionfasse alle elezioni il governatore mai sentito nominare della Val d'Aosta o della Basilicata.
Il caso Clinton ci conduce alle vicende di oggi, visto che sua moglie Hillary Rodham - che il celebre cognome del marito se lo tiene ben stretto più per convenienza che per amore - ha dato il via in queste ore alla sua campagna per le presidenziali. L'ex sfidante sconfitta e poi Segretario di Stato di Barack Obama parte in apparenza senza avversari in grado di impensierirla: non solo nel suo partito, ma anche in quello repubblicano, dove una folla senza precedenti di aspiranti alla nomination dà la misura di una disperante latitanza di leader carismatici. I sondaggi indicano al momento l'ex First Lady vincente con vantaggi rassicuranti contro chiunque il Grand Old Party le manderà avanti. Altre indagini d'opinione preoccupano però la senatrice di New York: non convincono il pubblico la sua tendenza a nascondere sotto il tappeto dati e informazioni personali (il 57% degli intervistati la considera «non onesta»), una sua certa arroganza nel presentarsi come quella-che-deve-vincere, e anche la sua carta d'identità, perché con i suoi 67 anni più che come la prima presidente donna della storia degli Stati Uniti rischia di venir percepita come la Nonna d'America, oltre tutto non in brillantissima salute.
Ecco dunque che, dopo una serie di incontri pubblici su piccola scala e soprattutto attente valutazioni insieme con i suoi strateghi, Hillary Clinton si è presentata per la prima volta a un raduno politico di massa (ieri a Roosevelt Island a New York) con un accurato restyling d'immagine. Gli obiettivi da riconquistare sono la bistrattata classe media e le donne, queste ultime fin qui considerate (forse erroneamente) disposte a concederle un occhio di riguardo per questioni di genere o magari a fare una scelta sulla base di temi «personali» e «sentimentali» e non solo pensando all'economia o al ruolo dell'America nel mondo.
Così ieri, esaurita la liturgia liberal dei richiami critici ai «privilegi per pochi» e ai diritti degli immigrati e dei gay «disonorati dai repubblicani», si è lanciata in una studiata commemorazione strappacuore della signora Dorothy Rodham: la sua mamma.
Figura presentata come simbolica delle qualità della middle class americana, abbandonata dai genitori ma comunque in grado di farsi strada e una famiglia coi fiocchi. E sotto sotto il messaggio più furbo: la nonna d'America era lei, mica io.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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