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Rivalsa impossibile sulle toghe che sbagliano. La casta resta impunita: 8 condanne in 11 anni

Già nel 1987, i cittadini chiesero che il magistrato pagasse per i propri errori. Ora è lo Stato a risarcire le vittime ma solo l'1,4% delle cause arriva in porto

Rivalsa impossibile sulle toghe che sbagliano. La casta resta impunita: 8 condanne in 11 anni

Si contano sulle dita di due mani. Otto condanne in 11 anni. Briciole, quasi elemosine. Con tutto il rispetto, un'offesa verso i cittadini che si sono visti calpestare nei loro diritti e verso la collettività che chiede giustizia. La legge sulla responsabilità civile dei magistrati non funziona anche se un referendum, nell'87, aveva annunciato fra squilli di tromba il vento del cambiamento. I sì raccolsero l'80,2% e tutti immaginavano quel che poi puntualmente non è successo. La corporazione non si tocca. Nell'88 con la legge Vassalli viene introdotto un meccanismo risarcitorio, ma è indiretto: il cittadino propone la condanna dello Stato e poi sarà quest'ultimo, semmai, a rivalersi sulla toga che ha commesso errori imperdonabili.

Non si tratta di punire in modo astratto, ma di colpire situazioni obiettivamente vergognose se non inguardabili. Un esempio? Ha fatto scuola la storia di Marianna Manduca che a Caltagirone aveva denunciato il marito violento dodici volte e poi è stata uccisa. Si possono ignorare dodici campanelli d'allarme?

Arrivare a una sanzione è impresa difficilissima. Parliamo di undici condanne dello Stato fra il 2010 e il 2021, ma nessuno sa se ci sia stato il secondo passaggio. Le toghe che hanno dovuto mettere mano al portafoglio sono ancora meno e si avvicinano allo zero.

Surreale. E, peggio, ora par di capire che la Consulta si sia attaccata proprio al passato per mantenere lo status quo; poiché c'è sempre stata la responsabilità indiretta ora non si può per via referendaria passare a quella diretta: il cittadino contro la toga. «Sarebbe - ha spiegato il Presidente della Consulta Giuliano Amato - un referendum innovativo e non abrogativo».

Eminenti giuristi sottolineano che meccanismi di risarcimento spicci suonerebbero poi come forme di intimidazione per i giudici che fanno il loro lavoro e, talvolta, sbagliano. Tutto può essere, ma i dati sono sconfortanti. La punizione pecuniaria del magistrato negligente e impreparato, anche di quello che ha combinato un disastro, è per quanto se ne sa, rarissima. Affidata a procedure lente e farraginose. Con quei due procedimenti civili che richiedono tempi lunghissimi - e il secondo segmento è di fatto un mistero - e la pazienza di Giobbe. Gli importi poi sono contenuti: una media, fra il 2005 e il 2014, di 54 mila euro.

Nel 2015 l'allora Guardasigilli Andrea Orlando aveva eliminato la strozzatura rappresentata dal filtro di ammissibilità e il presidente dell'Anm Rodolfo Sabelli aveva tuonato contro la norma: «È una rivoluzione contro la giustizia e contro l'autonomia della magistratura». Previsioni apocalittiche smentite dai fatti.

I numeri sono sempre modesti, modestissimi, quasi insignificanti. Otto condanne negli anni precedenti e in quelli successivi. Tre nei tribunali, cinque in Cassazione. A conti fatti, solo l'1,4% delle 544 cause avviate in quel periodo. Una miseria e parliamo sempre del primo round. Anche per questo quello sulla responsabilità diretta era il più popolare dei referendum. L' hanno bocciato un'altra volta. L'ultima chance è affidata a un emendamento del deputato di Azione Enrico Costa che vorrebbe introdurre il correttivo nel testo della riforma Cartabia del Csm.

L'emendamento è già stato presentato, ma è facile pensare che prima o poi si arenerà.

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