Rosatellum con la fiducia Mdp lascia la maggioranza

Il governo blinda la legge al Senato. I bersaniani si sfilano, cinque dem pronti a mollare. Ma arriva il soccorso di Ala

C inque voti di fiducia, uno per ogni articolo messo a rischio dai voti segreti sugli emendamenti. Poi stasera, o al massimo domani mattina, il Rosatellum sarà legge con i voti di larga parte del Parlamento, e l'eterno tormentone della riforma elettorale verrà - almeno per un po' - archiviato.

Lo sprint finale del Rosatellum inizierà oggi alle due del pomeriggio, dopo la conclusione del dibattito generale. Una serie di emendamenti degli oppositori della legge tirano in ballo (strumentalmente, dicono nel Pd) le minoranze linguistiche, unico tema su cui al Senato è possibile il voto segreto. Chiaro l'intento: far passare qualche modifica che costringerebbe la legge a tornare alla Camera, allungando i tempi. «Se rinunciate al voto segreto non mettiamo la fiducia», dicono dalla maggioranza. Quelli non rinunciano, e a metà pomeriggio il governo, per bocca del ministro Anna Finocchiaro, pone la questione di fiducia.

Nell'aula del Senato viene messo in scena il consueto, stanco circo degli oppositori indignati (Sinistra italiana, Mdp, grillini): ululati, sventolio di cartelli, gente che a piacere si imbavaglia o si benda, gente che sbraita e si sbraccia. Alcuni vanno a sfogarsi fuori, davanti al Palazzo, dove è in corso una mini-manifestazione di massa: alcuni militanti, tre bandiere rosse e un podietto su cui salgono leader del calibro di Pippo Civati, Marco Travaglio e Vito Crimi. Stanchi applausi di rito ai rituali annunci di golpe in corso. La capogruppo di Mdp Cecilia Guerra rivela: «Basta, questa fiducia è troppo: usciamo dalla maggioranza». Stupore generale tra gli astanti: «Ma non erano già usciti?». In effetti la dipartita era già stata annunciata varie volte: a maggio (poi rientrata) sui voucher, a inizio ottobre sul Def, la settimana scorsa alla Camera sul Rosatellum. Repetita iuvant.

Intanto dentro Palazzo Madama si escogitano nuove ficcanti forme di protesta: la stentorea capogruppo di Si, Loredana De Petris, irrompe nell'aula deserta durante la sospensione dei lavori e «occupa» lo scranno del presidente Grasso; i grillini per non essere da meno occupano i banchi del governo. Poi ognuno torna al posto suo. «Ogni volta queste sceneggiate, al solo scopo di finire sui media - sospira il Pd Giorgio Tonini - le trovavo sbagliate quando le facevamo noi contro Berlusconi, e continuo a trovarle sbagliate».

Cinque senatori della sinistra Pd, capitanati da Vannino Chiti, annunciano che non parteciperanno al voto di fiducia: chiedono l'aumento dei collegi uninominali e il voto disgiunto. «Ci sono altri senatori del Pd eletti all'estero che faranno lo stesso, ma non dico i nomi perché lo annunceranno in aula», assicura uno di loro. Un dissenso che però non crea problemi di numeri sulla fiducia: Ala ha annunciato che voterà a favore, non c'è necessità di quorum, le opposizioni di Lega e Forza Italia - favorevoli al Rosatellum - faranno in modo che non manchi il numero legale e il voto massiccio con cui ieri sono state respinte le pregiudiziali di costituzionalità sulla legge è rassicurante.

L'ex presidente Giorgio Napolitano, che ha criticato la legge e la fiducia, parlerà stamattina a nome del gruppo delle Autonomie e ribadirà le sue perplessità di merito e di metodo. Ma con ogni probabilità voterà sì alla fiducia.

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