Il rospo Trump spiazza tutti Ora è principe dei sondaggi

Il tycoon è davanti alla Clinton in molte rilevazioni Il problema di Hillary non è più come, ma se governerà

di Paolo Guzzanti

New York C'è chi dice un punto, chi mezzo, chi lo accredita al 44 per cento contro il 43 della Clinton come il Washington Post o chi come la Fox News lo dà 45 a 42 contro l'ex First Lady. Sembra di essere in un film degli anni Cinquanta: l'underdog (quello che parte svantaggiato) Donald Trump per la prima volta emerge vincitore in alcuni sondaggi e la Clinton affanna dietro di lui per un'incollatura. Già questo fatto è straordinario per la storia americana: un candidato autopromosso, solo contro tutti compreso il partito che lo dovrebbe sostenere, sbriciola l'elettorato conservatore tradizionale in giacca e cravatta e si presenta con le carte in regola per ottenere l'investitura alla Convention di luglio e vincere le elezioni di novembre.

Intendiamoci: non è tutto rose e fiori perché i sondaggi dicono anche che alla maggioranza degli americani non piacciono né l'uno né l'altra e che, se il senatore Sanders diventasse il candidato democratico, batterebbe con grande margine Trump, 54 a 39 secondo le ultime stime. I sondaggi meno ottimisti per il candidato repubblicano, come quello del Wall Street Journal e di Nbc News danno ancora la Clinton in testa con tre punti di vantaggio (46 a 43) ma registrano tutti Trump in netta rimonta. I sondaggi non sono tutti concordi nelle cifre, ma su un punto sì: l'ex segretario di Stato ed ex First Lady perde terreno e appare veramente detestata non soltanto a destra, ma specialmente a sinistra. Intanto, da quasi un mese, in casa repubblicana, appare evidente che il partito comincia a digerire il rospoTrump perché, da quando i boss conservatori hanno smesso di mettersi di traverso, il consenso per il tycoon all'interno del partito è schizzato dal 72 per cento all'86. Questo accadeva a metà aprile mentre la Clinton perdeva seccamente il 6 per cento senza mai più recuperarli.

L'America si sta radicalizzando, ma in un modo incomprensibile per i canoni europei: The Donald non è infatti l'uomo più «di destra» fra i repubblicani. Come conservatore era molto più di destra Ted Cruz e persino il senatore della Florida Marco Rubio. Quindi, quando si tratta di scegliere un candidato di destra, l'elettorato americano sceglie un outsider che dà scandalo con la parola eccessiva (salvo far poi pace con coloro con cui litiga) e che rappresenta un blocco sociale medio basso: meno laureati e più lavoratori e imprenditori, gente che si sente truffata dalla vita e dalle istituzioni e che non ha particolarmente a cuore, anzi è del tutto indifferente, a un'America come grande potenza e gendarme del mondo. L'America «più grande e più forte di sempre» che tratteggia Trump è tutto sommato un'America casalinga, che cerca di evitare i problemi internazionali, che non vuole pagare per gli altri e che vorrebbe tirarsi fuori da tutti gli schemi bellici: dalla Nato, dall'Europa (come presenza armata anti-russa) indifferente ma disponibile a fare da arbitro in Medio Oriente, pronta a spostare la sua ambasciata a Gerusalemme per compiacere il governo israeliano, ma dialogante con tutti i Paesi arabi.

Tutt'altro discorso per la Clinton: tutti ricordano che viene dalla vecchia scuola e che tendenzialmente è interventista. Tutti sanno che se lei fosse eletta, suo marito non sarebbe soltanto un «Primo Marito» ma il suo consigliere e mentore. Ma adesso per lei il problema non è più come governare ma se riuscirà a governare: il trend dimostra che l'epoca dei sogni è finita e che è cominciata quella degli incubi. Da una parte Trump, che considerava con alterigia un nemico da non prendere nemmeno in considerazione, e dall'altra un «socialista», cosa del tutto inedita nella storia degli Stati Uniti. Infatti, grazie al senatore del Vermont si è scoperto che l'elettorato americano colto, bianco, laureato ma non ricco vorrebbe vivere in un Paese in cui lo Stato provvede a tutti, in cui l'accanita fossero accantonate a favore di un servizio pubblico della salute gratuita come quello del Canada, grande Paese confinante ma radicalmente diverso dagli Usa. Hillary cerca di ricucire con Sanders e di offrirgli la vicepresidenza dopo un accordo politico e programmatico. Questo vorrebbe la logica, ma non l'umore dei seguaci di Sanders i quali odiano senza mezzi termini la Clinton e anzi sono diventati aggressivi e offensivi nei suoi confronti dando persino vita a qualche tumulto, un'altra novità assoluta. Sanders ha cercato di sedare i suoi scalmanati sostenitori, ma senza esagerare: i giovani arrabbiati stanno formando la sua forza d'urto, quasi la sua milizia. Questo successo incendia i discorsi di Sanders che accusa ogni giorno di più Hillary di essere un fantoccio nelle mani dei capitalisti di Wall Street, agli ordini dei suoi finanziatori e di volere il bene degli sfruttatori e non dei lavoratori. Hillary dà segni di corteggiamento, ma finora senza speranza. Sanders pensa di essere lui e lui soltanto l'uomo che può battere Trump e di avere diritto alla nomination. E qui sta il vero nodo democratico.

Che faranno i Gradi Elettori democratici, fra cui suo marito, quando concluderanno che Hillary è un'anatra zoppa? Lei gioca l'ultima carta mediatica: Attenzione dice da adesso in poi Trump si «normalizzerà», farà dimenticare chi veramente è e agirà come un sedativo. Lo vorrebbe immediatamente sul ring in un confronto all'ultimo sangue prima che sia troppo tardi. Ma probabilmente è già troppo tardi.

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