Superata, si fa per dire, la buriana dei bandi per la Torino-Lione, le due sponde del governo gialloverde si sono acconciate a mostrare il loro profilo «sviluppista» e a rilanciare, almeno a parole, piani infrastrutturali. A uscire allo scoperto per primo, per ovvi motivi, è stato il vicepremier Matteo Salvini. «Approveremo in Consiglio dei ministri un decreto urgente, per riavviare, da Nord a Sud, quei 300 cantieri fermi», ha dichiarato ieri rimarcando che «l'immobilismo sulle opere pubbliche è un'emergenza nazionale» e che occorre «portare l'alta velocità in tutto il Mezzogiorno, fino alla Sicilia, e realizzare la Pedemontana, fare il Terzo valico, ingrandire l'aeroporto di Firenze e via così». Un programma che prevede anche la riforma del Codice degli appalti, ça va sans dire. Non poteva mancare all'appello il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che ha annunciato per oggi la sua presenza con il ministro Toninelli in Sicilia «per sbloccare un cantiere che è altrettanto strategico che è la statale Agrigento-Caltanissetta: un'opera, nella mia opinione, più strategica della Tav».
La differente portata tra una necessaria superstrada di collegamento tra due capoluoghi siculi, bloccata dalla burocrazia, e i corridoi transeuropei è, tuttavia, implicita. Quello che Salvini ha omesso di dire è che sarà difficile realizzare infrastrutture assieme a un Movimento che tene a opporsi a tutte le opere che hanno un impatto ambientale. È il caso dell'alta velocità ferroviaria tra Brescia e Padova. Sono due lotti da complessivi 5 miliardi di euro ai quali i Cinque stelle si oppongono sistematicamente e che, a onor del vero, senza la Torino-Lione perderebbero la loro ragion d'essere. Lo stesso vale per il Terzo valico (6,2 miliardi complessivi) che Toninelli, a differenza dell'Agrigento-Caltanissetta, ha messo in stand by tanto per isolare ancor di più il capoluogo ligure dopo il tragico crollo del Ponte Morandi. L'ha detto ieri il capopopolo No-Tav Perino le cui idee sono condivise dai pentastellati: «Le grandi opere servono da sempre per finanziare i partiti e anche la mafia e la criminalità organizzata».
E all'insegna di questo motto il diligente Toninelli ha messo sotto scrutinio tutto ciò che poteva essere bloccato dal suo ministero. Come la realizzazione della nuova pista dell'aeroporto di Firenze (350 milioni). «Gli aerei volerebbero troppo vicini al centro storico», aveva detto il titolare del dicastero di Porta Pia. Tutte le opere citate da Salvini fanno parte dell'immenso catalogo di priorità (600 cantieri) stilato dall'Ance, ma solo la Pedemontana lombarda può essere realizzata perché dipende dalla Regione Lombardia. Il resto è in mano a un ministro che ha fatto perdere la pazienza anche ai solitamente tranquilli emiliani. Sabato scorso a Bologna Confindustria, Legacoop e il governatore Bonaccini hanno rivolto un appello per lo sblocco dei cantieri da 2,5 miliardi delle tre autostrade da realizzare (Passante di Bologna, Campogalliano-Sassuolo e Cispadana), bloccate per l'avversione M5S nei confronti di Autostrade così come la Gronda di Genova.
Il rapporto dei grillini con le infrastrutture assume contorni fobici perché il «no» vale pure per le più piccole.
La linea 6 della metro di Napoli? No, perché impatta sul centro storico. La superstrada Maglie-Leuca? No, perché incide sugli uliveti secolari. Il nuovo porto di Pescara? «Tonnellate di cemento, un'altra Tav», ha già tuonato Il Fatto Quotidiano.
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