Pronto per Palazzo Chigi, guardando a sinistra. Matteo Salvini «non si scansa», esclude passi indietro e studia possibile alchimie per far quadrare un governo. E intanto, appunto, strizza l'occhio ai delusi dell'altro Matteo, quel Renzi che vede la sua parabola discendente toccare il punto più basso. Il segretario dimissionario del Pd, spiega il leader del Carroccio, è «vittima della sua arroganza e, quindi, peccato perché - prosegue Salvini - c'è una tradizione di sinistra che o non vota o in tanti casi guarda alla Lega». E ai comunisti pronti al grande salto, l'uomo che ha portato la Lega al sorpasso nei confronti di Forza Italia apre la porta e le braccia: «Vedremo di raccogliere quella forza, quella passione di ascoltare gli artigiani, gli operai, i precari che qualcun altro ha perso».
Nell'immediato, c'è da capire che cosa fare del tesoretto di voti raccolti, e in che modo giocarsi il fatto di essere a capo del partito più votato nella coalizione che è uscita meglio dalle urne. Di certo Salvini non rinuncerà alla leadership interna, conquistata a suon di preferenze. Ma promette di tener fede ai patti con gli alleati. «Andremo insieme al Quirinale. Se verremo chiamati - spiega - siamo pronti, anche da domani, non faremo accordi politici o partitici. Noi abbiamo un programma, chi condivide il programma, chi ci sta, bene». E tra «chi ci sta», però, potrebbe anche esserci una grossa, grossissima sorpresa. E a paventarla è il responsabile economico della Lega, Claudio Borghi, intervenendo con un'analisi del voto sul blog Byoblu dell'ex responsabile comunicazione dei grillini, Claudio Messora.
«Salvini - scrive Borghi su Byoblu - ha escluso l'ipotesi di un governo Lega-M5s perché vorrebbe dire lasciare la coalizione, ma un governo M5S-centrodestra sarebbe tutta un'altra storia». Dal punto di vista numerico vorrebbe dire contare su una schiacciante maggioranza. E quanto ai contenuti, secondo Borghi «punti in comune ce ne sarebbero» tra i programmi del centrodestra e dei Pentastellati, che potrebbero cominciare dal «togliere dalla Costituzione il pareggio di bilancio». Insomma, l'ipotesi di arrendersi ai numeri che non bastano a nessuno e di riprovare con un altro giro alle urne tiene ancora banco perché, insiste l'esponente del Carroccio, «se prevalgono le tattiche di partito allora tutti vogliono tornare a votare domani per avere quel 3 per cento in più». Ma «un po' di lavoro comune possibile ci potrebbe essere», e «se si può ragionare seriamente - conclude Borghi - io un tavolo globale lo farei. Del resto si chiama Parlamento».
L'ipotesi è suggestiva e proviene da un insider del partito che Salvini ha fatto sfondare ben al di fuori dei confini territoriali nei quali la Lega era confinata, ma di certo il leader del Carroccio mantiene un profilo più prudente. «Non entro nelle prerogative del Capo dello Stato, che è uomo in grado di rispettare la volontà elettorale e indicare chi ha capacità di governare e chi no», spiega Salvini, aprendo comunque a «contributi esterni», perché «chi ha idee che ci permettano di realizzare il nostro programma sarà ascoltato», insiste.
Magari alla luce del sole, aggiunge ancora, considerato che «gli accordi fra partiti nel segreto delle chiuse stanze non è quello che gli italiani vogliono». Quanto all'esito delle urne, il leader leghista non ha dubbi: «C'è una coalizione che ha vinto, che è quella del centrodestra, con la Lega che ha preso una quantità di voti incredibile. Siamo pronti per governare».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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