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Le scuse di Ratzinger alle vittime degli abusi. "Ma non sono bugiardo"

Benedetto XVI: "Presto mi troverò davanti al giudice della mia vita, ma ho l'animo lieto"

Le scuse di Ratzinger alle vittime degli abusi. "Ma non sono bugiardo"

«Ancora una volta posso solo esprimere nei confronti di tutte le vittime di abusi sessuali la mia profonda vergogna, il mio grande dolore e la mia sincera domanda di perdono». Una lettera scritta per chiudere ogni polemica e allo stesso tempo per mettere la parola fine alle continue accuse provenienti dalla Germania. Benedetto XVI risponde all'indagine indipendente sulla pedofilia commissionata dall'arcidiocesi di Monaco e Frisinga che ha scoperchiato, per volere del cardinale Reinhard Marx, uno scandalo senza precedenti, con quasi 500 casi di abusi in un arco temporale di 75 anni, a partire dal 1945.

Joseph Ratzinger, citato nel rapporto e accusato di negligenza in quattro episodi mentre era alla guida della chiesa di Monaco tra il 1977 e il 1981, ha voluto scrivere ai fedeli un'accorata lettera in cui manifesta tutto il suo «dolore per gli abusi e gli errori che si sono verificati durante il tempo del mio mandato nei rispettivi luoghi. Ogni singolo caso di abuso sessuale è terribile e irreparabile. Alle vittime va la mia profonda compassione e mi rammarico per ogni singolo caso». Nel testo diffuso ai media attraverso la Sala Stampa della Santa Sede, il Papa emerito ringrazia per «la fiducia, l'appoggio e la preghiera» espressa personalmente da Papa Francesco e ammette, come aveva già fatto qualche settimana fa, di esser incappato in un errore nella ricostruzione di una delle quattro vicende in cui viene chiamato in causa. Si tratta di una riunione relativa a un prete accusato di abusi in cui Ratzinger in un primo momento aveva detto di non esser stato presente, salvo poi correggere il tiro: «È avvenuta una svista - scrive oggi - riguardo alla mia partecipazione alla riunione dell'ordinariato del 15 gennaio 1980. Questo errore che purtroppo si è verificato, non è stato intenzionalmente voluto e spero sia scusabile. Mi ha profondamente colpito che la svista sia stata utilizzata per dubitare della mia veridicità e addirittura presentarmi come bugiardo».

«Benedetto XVI ha ragione - racconta a Il Giornale, un anziano porporato di Curia molto legato al Papa emerito - purtroppo in Germania non è così amato, anche da tanti vescovi, e per questo è ancora nel mirino. Tanti non gli hanno mai perdonato le dimissioni e sono quelli che lo stesso Ratzinger ha definito fanatici».

Oltre alla lettera rivolta al popolo dei fedeli, il quasi 95enne Papa emerito ha voluto rispondere anche, punto per punto, a chi ha stilato il dossier di quasi 2000 pagine in cui viene tirato in ballo, respingendo chiaramente ogni accusa. Il testo è stato redatto da quattro giuristi cattolici tedeschi di cui tre canonisti, secondo i quali: «In nessuno dei casi analizzati dalla perizia, Joseph Ratzinger era a conoscenza di abusi sessuali commessi o del sospetto di abusi sessuali commessi dai sacerdoti. La perizia non fornisce alcuna prova in senso contrario» Nessun comportamento erroneo, nessuna copertura di abusi, ribadisce il team di esperti che ha assistito Benedetto XVI. E riguardo alla famosa riunione del 1980, chiariscono che si è trattato di un errore di trascrizione commesso «inavvertitamente» da uno dei collaboratori che ha visionato gli atti in versione elettronica. Questo, spiegano, «ha scritto di assenza laddove questa non c'era stata», si è trattato di «una indicazione falsa, inserita per errore, omettendo di chiedere espressamente a Benedetto XVI se egli fosse stato presente a quella riunione. Sulla base dell'erronea trascrizione della verbalizzazione si è supposto invece che Joseph Ratzinger non fosse stato presente».

La lettera scritta da Benedetto e che porta la sua firma autografa, si chiude con parole che sembrano un testamento spirituale: «Ben presto mi troverò di fronte al giudice ultimo della mia vita. Anche se nel guardare indietro alla mia lunga vita posso avere tanto motivo di spavento e paura, sono comunque con l'animo lieto perché confido fermamente che il Signore non è solo il giudice giusto, ma al contempo l'amico e il fratello che ha già patito egli stesso le mie insufficienze e perciò, in quanto giudice, è al contempo mio avvocato (paraclito).

In vista dell'ora del giudizio mi diviene così chiara la grazia dell'essere cristiano. L'essere cristiano mi dona la conoscenza, di più, l'amicizia con il giudice della mia vita e mi consente di attraversare con fiducia la porta oscura della morte».

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