Se la Giornata della Terra tocca solo l'Occidente

Se la Giornata della Terra tocca solo l'Occidente

Come di consueto dal 1970, il 22 aprile si è celebrata la Giornata della terra istituita dalle Nazione Unite per sottolineare la necessità di conservare le risorse naturali del nostro pianeta e contrastare fenomeni come l'inquinamento e la distruzione degli ecosistemi. Una ricorrenza nata con intenti nobili ma che si è trasformata in un evento con una venatura ideologica portando avanti temi e parole d'ordine non sempre legate alla salvaguardia dell'ambiente. Quest'anno la Giornata della terra avviene in un momento particolare e in concomitanza alla guerra in Ucraina che ci impone una serie di riflessioni anche in ambito ecologico ed energetico.

Se il conflitto ha testimoniato la necessità di una maggiore sovranità energetica, la crisi delle materie prime nel settore alimentare e in particolare nell'approvvigionamento di grano, certificano l'importanza della sostenibilità alimentare. C'è poi un ulteriore aspetto da tenere in considerazione legato al messaggio che sottende la celebrazione dell'Earth Day.

In parallelo alla diffusione dell'euforia ambientalista degli ultimi anni (poi smentita con l'evolversi degli eventi e le conseguenze della guerra), si è diffuso un sentimento anti occidentale connesso alla sfida ambientale che tende ad attribuire tutte le colpe per l'inquinamento ai paesi occidentali.

Si tratta di una visione di oikophobia (odio per la propria casa) per cui siamo tanto critici verso noi stessi quanto indulgenti nei confronti degli altri. Tra gli obiettivi della Giornata della Terra c'è l'azzeramento delle emissioni nette di gas serra entro la metà del secolo e realizzare la riduzione di gas serra necessaria entro il 2030 rispettando l'accordo di Parigi. Il mancato raggiungimento di questi obiettivi, viene imputato all'Occidente colpevole di inquinare in modo eccessivo e di non avere a cuore il destino del pianeta. All'autoflagellazione occidentale non coincide però una critica ai paesi colpevoli di non rispettare gli stessi criteri in materia ambientale a partire da Cina, India e Russia. In particolare il caso cinese è emblematico: mentre i paesi occidentali si impegnano in ambiziosi programmi per ridurre le emissioni e favorire la transizione ecologica, la Cina (unica nazione ad aver registrato una crescita economica sia nel 2020 che nel 2021) ha prodotto nel 2021 emissioni di CO2 per 11,9 miliardi di tonnellate pari al 33% del totale globale. Lo stesso dicasi per l'India dove il consumo di carbone ha superato del 13% i livelli 2020 con una frenata nella produzione di energie rinnovabili.

Come testimonia l'Agenzia internazionale per l'energia, «l'aumento dei prezzi del gas ha spinto all'uso del carbone» con una crescita esponenziale nel 2021.

La maggioranza delle emissioni di combustibili fossili provengono proprio da quei paesi sulle cui politiche ambientali è calata una coltre di silenzio dagli stessi ambientalisti ideologizzati tanto solerti nello stigmatizzare le scelte dei governi occidentali. Ma si sa, un conto è criticare una democrazia, un altro una dittatura comunista.

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