Anche i ricchi piangono a Piazza Affari. La bufera che in questi primi giorni 15 giorni del 2016 (dal 4 al 20 gennaio) imperversa sui mercati finanziari non risparmia nessuno e, democraticamente, sta sforbiciando i sudati risparmi dei piccoli azionisti così come le fortune dei paperoni italiani. Le montagne russe di Borsa hanno notevolmente ridotto le risorse in mano ai maggiori soci di salotti, salottini oltre che delle principali realtà imprenditoriali del Paese. Chiaramente si tratta, per ora, di un rosso virtuale ma che, in caso di cessione quote, lascerebbe l'amaro in bocca a finanzieri, capitani d'industria e persino allo stesso governo.Lo Stato, grazie a una fitta e variegata rete di partecipazioni detenute tramite il ministero del Tesoro e, indirettamente, attraverso la Cdp, è tra i principali azionisti di riferimento di Palazzo Mezzanotte. E inevitabilmente quindi, da inizio anno, registra le maggiori perdite virtuali di tutta Piazza Affari. In venti giorni sono svaniti miliardi. Solo sul 4% detenuto dal ministero in Mps, da inizio anno, si sono dissolti 80 milioni circa. Senza considerare il miliardo circa di capitalizzazione bruciata in Borsa dal 25,5% detenuto in Enel o i 600 milioni sfumati sul 64,6% delle Poste. A dar prova di una maggiore resistenza sono state invece le lunghe catene di controllo. Una simile struttura permette di mantenere salde le mani sui rispettivi imperi finanziari, riducendo tuttavia il rischio di perdere il capitale investito nelle rispettive imprese e di dover mettere mano al portafoglio (a sostegno, ad esempio, di acquisizioni). Rischio che è infatti ripartito con più azionisti possibili attraverso la quotazione sul mercato di tutte o di gran parte delle scatole cinesi che compongono l'articolata catena di controllo, mantenendo tuttavia inespugnabile la fortezza. Ecco, quindi, il motivo per cui la famiglia Agnelli, che controlla con il 51% una holding, Exor, che a sua volta detiene il 23,5% della Ferrari e il 29% di Fca, ha visto svanire «solo» 765 milioni circa di capitalizzazione, una somma tutto sommato limitata considerando i confini del regno della famiglia piemontese. Si pensi che la sola Fca ha bruciato quasi 3 miliardi e la Ferrari oltre un miliardo. Situazione simile per i De Benedetti che, nonostante le performance tutt'altro che entusiasmanti registrate dalle proprie partecipazioni quotate a Piazza Affari, hanno visto sfumare 60 milioni circa.Poco rispetto alla fortuna svanita, sempre virtualmente, tra le mani di altre icone della finanza italiana che, tuttavia, preferiscono mantenere una struttura societaria semplificata e una presa diretta sulle proprie aziende in vista dell'attesa ripresa che dovrebbe riportare gli utili a fluire in famiglia rapidi e corposi, senza che debbano essere ripartiti nei diversi piani della piramide che separano le finanziarie dalla società operative.
Una scelta, questa, che accomuna imprenditori come Leonardo Del Vecchio, che con il 66% di Luxottica ha visto svanire 2 miliardi; o la famiglia Berlusconi, che controlla al 100% la Fininvest da cui dipendono le quote di Mediaset, Mondadori e Mediolanum, dimagrite di 830 milioni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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