Prende un frutto, annusa il suo profumo, l'accarezza per capirne la forma, ne verifica la compattezza attraverso il taglio. Infine l'assaggia e dà il voto di qualità.
La «degustatrice di frutta» si chiama Silvia Chelazzi, vive a Santa Maria a Colle, vicino Lucca, ha 43 anni, è bionda, bella e non vedente. Usa il gusto, il tatto e l'olfatto per classificare un prodotto e può «orientare» i coltivatori verso un innesto in grado trasformare la frutta in «bella e buona».
«Tutto è nato nel 2012 quando mi ha contattata Susanna Bartolini, responsabile del percorso sensoriale oltre la vista della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa racconta Silvia - Voleva creare un gruppo non influenzato dalla vista per analizzare qualità di frutta del territorio toscano, non trattata, di origini antiche. Spesso questi prodotti non sono invitanti per chi li giudica con gli occhi, perché presentano qualche malformazione, hanno una colorazione irregolare. Noi non vedenti, invece, possiamo capire quando un frutto è buono e possiamo dare indicazioni su qualità e difetti senza essere condizionati dall'aspetto visivo».
Così Silvia ha accettato la proposta ha raggruppato un drappello di neo assaggiatori. «Prima eravamo in pochi, ora siamo una trentina». Ma come funziona il rito dell'assaggio? «La prima volta mi è stata consegnata una mela racconta - Al tatto ho percepito forma e grandezza. L'olfatto mi ha spiegato quanto fosse profumata. Il gusto è servito per l'assaggio che rivela dolcezza e croccantezza del frutto». Insomma, la mela viene sottoposta ai raggi x di gente che conosce il significato del sapore. «Dopo la degustazione ho dato una valutazione con un punteggio che va da uno a nove. E solo alla fine mi hanno svelato che era una mela della Garfagnana». Questo percorso sensoriale è strategico. «Agli agronomi le nostre valutazioni servono per capire se la frutta è vendibile al grande pubblico o se dev'essere migliorata. Per esempio, se un frutto è piccolo e storto ma è saporito, può essere innestato per modificarlo oppure può essere trasformato in chips». Silvia è una donna piena di entusiasmo. Eppure la vita è stata molto egoista con lei. «Sono una biologa e dodici anni fa, mentre stavo finendo un dottorato di ricerca in chirurgia dei trapianti, la mia vita si è fermata racconta - Per un banale mal di testa ho preso due antidolorifici in una settimana. Ed ho avuto una reazione avversa che ha scatenato la sindrome di Lyell, una malattia rarissima che provoca ustioni esterne e interne sul 70% del corpo. Gli occhi hanno avuto la peggio». Neppure un trapianto di cornea è servito. «Ho fatto l'intervento ma la sindrome mi ha azzerato le lacrime e le cellule staminali. Non c'è stato nulla da fare. Diventare ciechi dopo essere stata vedente è come vincere una lotteria milionaria e perdere subito dopo il biglietto».
Ma Silvia non si è mai abbattuta. É single, vive da sola assieme ad un «gatto-guida». Ha i genitori che la amano, aveva un cane che l'adorava. Ha mille interessi. Oltre alle degustazioni e l'impiego come traduttrice in una ditta farmaceutica (ironia della sorte) è anche consigliera dell'Unione italiana ciechi e ipovedenti di Lucca. «Mi occupo delle attività ricreative di circa trecento persone che seguono corsi di informatica, di pittura, le gare di booling, dove un fenomeno riesce a tirare giù anche l'unico birillo che resta in piedi».
Il segreto? «Ogni cosa, senza la vista, viene in qualche modo geolocalizzata perché i vari sensi si acutizzano e creano una sorta una mappa - spiega Silvia - Conosco un pittore non vedente che riesce persino a distinguere i colori dalla densità delle tempere ad olio che sente al tatto».
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