«Smontare e rimontare» Orfini vuole fare pulizia ma il Pd rischia grosso

Il commissario del partito tenta la difesa: «No allo scioglimento del Comune per mafia». Accuse al sistema di primarie e preferenze

«C i sono preoccupazioni per l'incolumità personale del primo cittadino di Roma, in quanto ostacolo, secondo quanto emerso dalle intercettazioni, ai disegni del sistema criminale». Il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro ha spiegato così, dopo un lungo colloquio con Ignazio Marino, le ragioni della sua visita in Campidoglio. Nella Roma che dalle carte dell'inchiesta emerge come una sorta di Chicago «de noantri», il sindaco non può più girare in bicicletta e va blindato: «Mi hanno chiesto di accettare la scorta che non ho mai voluto, io ho detto che voglio pensarci: non è facile per me rinunciare alla libertà di muovermi come un normale cittadino», spiega lui.

Di fronte al ciclone giudiziario che ha colpito la sua classe politica romana, il Pd corre ai ripari e il sindaco - pesantemente contestato fino a qualche giorno fa da quegli stessi esponenti del suo partito che oggi si ritrovano nel mirino delle inchieste - diventa paradossalmente l'unico baluardo dietro cui rifugiarsi. Il Pd non vuol neanche sentir parlare di scioglimento e commissariamento del Comune, ipotesi cui ieri mattina lo stesso Pecoraro aveva imprudentemente accennato. Lo dice chiaro Matteo Orfini, neo-commissario del Pd nella Capitale: «Questa amministrazione è stata un argine ai poteri criminali e ciò che emerge dimostra come ci sia stata un'aggressione nei suoi confronti. La linea dello scioglimento è la linea della mafia, lo dico ai Cinque Stelle, e di quei poteri criminali che hanno provato a infiltrare questa amministrazione».

La campagna contro Marino sulla famosa vicenda della Panda rossa e delle multe, cavalcata anche da pezzi del Pd che volevano riconquistare il controllo della macchina comunale, assume un nuovo sapore alla luce di quanto sta emergendo. E il Pd fa quadrato attorno al sindaco, anche perché una campagna elettorale a breve scadenza è l'ultima cosa che può augurarsi.

Se Renzi ha scelto un dirigente nazionale di primo piano come Orfini, presidente del Pd, per «smontare e rimontare» il partito romano è perché è chiaro a tutti che le ripercussioni della vicenda hanno una portata tutt'altro che locale. Anche perché nessuno sa ancora cosa possa uscire ancora dall'inchiesta, che per ora vede un ex assessore (Daniele Ozzimo) e il presidente all'assemblea capitolina (Mirko Coratti) indagati e dimissionari. E ci sono risvolti importanti che riguardano lo stesso modello di partito: strumenti come il tesseramento e le primarie, altamente inquinabili da parte dei potentati locali, vanno ripensati, e a questo si lavora anche in vista dell'Assemblea nazionale convocata per la settimana prossima. «Serve una riflessione di sistema - dice Orfini - primarie e preferenze rendono la selezione dei dirigenti più permeabile».

Marino ieri ha incontrato, oltre a Orfini e al prefetto, anche il responsabile dell'Autorità nazionale anti-corruzione voluta da Renzi, Raffaele Cantone. Marino gli ha chiesto di verificare «uno per uno» tutti gli appalti dubbi, nonchè la creazione di un pool di esperti che passi in rassegna gli appalti più opachi, una richiesta accolta dal magistrato anti-corruzione. «Abbiamo parlato - spiega l'ex magistrato Cantone - di una serie di appalti finiti nel mirino della magistratura romana e della possibilità di intervenire con un commissariamento».

Intanto anche la Regione Lazio, presieduta da Nicola Zingaretti, si attrezza ad affrontare la tempesta che può lambirla.

Rischio tanto concreto da spingere il governatore ad avviare un'indagine conoscitiva presso tutte le principali centrali appaltanti della Regione come Asl, Ater, Centrale Unica e Dipartimenti per sapere se società legate all'inchiesta abbiano partecipato a bandi pubblici. «In attesa delle verifiche - annuncia Zingaretti - ho intanto chiesto la sospensione dell'assegnazione delle gare in corso».

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