«Sofia e i bimbi ricoverati uccisi dallo stesso parassita»

Conferma dall'ospedale di Trento, resta ignoto il ceppo I pm aprono un'inchiesta: l'ipotesi di omicidio colposo

I l ceppo ancora non si sa se fosse lo stesso, ma il parassita sì: plasmodium falciparum, il più aggressivo tra i parassiti della malaria, quello che dal sangue attacca direttamente le cellule del cervello. Sofia Zago, la bambina di quattro anni morta lunedì agli Spedali Riuniti di Brescia, è stata uccisa dallo stesso plasmodium che aveva infettato una intera famiglia di immigrati, tornati in Italia dopo le vacanze in Burkina Faso. E questo elemento, reso noto ieri, porta inevitabilmente la pista delle indagini verso qui pochi giorni in cui Sofia e la famiglia africana sono stati ricoverati nello stesso ospedale, il Santa Chiara di Trento, tra il 16 e il 21 agosto. Che possa trattarsi di una semplice coincidenza è inverosimile: e la certezza definitiva che il contagio è avvenuto in ospedale potrebbe venire dalle analisi dei vetrini inviati dai due ospedali all'istituto superiore di sanità. Ma in che modo la malattia sia potuta passare nelle vene della bambina trentina continua a essere del tutto inspiegabile.

Due inchieste giudiziarie, una del ministero, una valanga di polemiche politiche: e sullo sfondo, quasi dimenticato il dolore straziante della famiglia di Sofia, i genitori e il fratello che attendono che il piccolo corpo della bambina, dopo l'autopsia di oggi, sia dissequestrato per poterlo seppellire. Anche i genitori, Marco e Francesca, vogliono sapere la verità. Ma chi li ha visti in queste ore li racconta lontani anni luce dalla querelle furibonda scatenata intorno al dramma che li ha colpiti. Vogliono sapere perché, voglio capire in che modo una malattia sparita dall'Italia abbia portato via Sofia. Nient'altro.

A indagare sono due Procure: Brescia, dove Sofia è spirata alle 12,15 di lunedì, e Trento, dove la piccola abitava e dove era stata ricoverata a due riprese: dal 16 al 21 agosto, e poi il 2 settembre, quando la febbre era tornata a scuoterla. Omicidio colposo, è il reato previsto da entrambi i fascicoli. Certo, se si scoprisse che i ceppi di Sofia e della famiglia straniera sono diversi, entrambe le inchieste andrebbero verso o stop: perché a quel punto l'unica spiegazione resterebbe quella del contagio di Sofia da parte di una zanzara anofele di nuova specie, in grado di portare nell'Italia surriscaldata parassiti che finora vivevano solo in Africa. Uno scenario allarmante, ma che escluderebbe responsabilità penali.

Ma l'ipotesi cui invece le due procure stanno per ora lavorando è ben diversa: se il contagio è avvenuto in ospedale, allora qualcosa non ha funzionato, e la morte di Sofia ha responsabilità precise. All'ospedale di Trento sanno di essere sotto accusa: già dalla giornata di martedì, quando a mezza voce i colleghi di Brescia avevano accusato i medici trentini di avere tardato a riconoscere i sintomi della malaria, e di avere inviato in elicottero la bambina quando era ormai praticamente in fin di vita. Ma ora si aggiunge un sospetto ben più grave, quello di avere avuto un ruolo diretto nell'infezione, violando i protocolli e le procedure sull'utilizzo del materiale sanitario. «Abbiamo rivisto tutto ciò che è stato fatto: dagli aghi monouso ai telini per i prelievi. Scambi di sangue non sono avvenuti. Siamo a disposizione sia della magistratura che degli esperti che vorranno venire da Roma», dice il primario di pediatri trentino, Nunzia Di Palma. Ma è certo, assolutamente certo, che non può essere bastato, a far ammalare Sofia, un contatto casuale con una delle bambine africane. «La malaria - spiega la direttrice sanitaria di Brescia, Frida Fagandini - non si passa con un colpo di tosse o con un contatto. Serve un passaggio di sangue».

La maggiore delle bambine provenienti dal Burkina Faso, si apprende ieri che ha passato al Santa Chiara quasi gli stessi giorni di Sofia, tra il 16 e il 21 agosto; il 20 è arrivata anche la sorella minore. Con Sofia possono essersi incrociate in sala giochi, ma in quei giorni la bambina trentina era ricoverata solo per un sospetto di diabete, spesso usciva dall'ospedale, le occasioni di contatto erano sporadiche.

E comunque del tutto incapaci di trasmettere il parassita. «La consideravamo già una nostra paziente e lo stato d'animo è di grande dispiacere, è una tragedia - dicono a Trento - però non troviamo un spiegazione a quanto accaduto alla piccola».

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