Roma - «È la quotidianità che traduce in riforme strutturali norme importanti. I processi di revisione della spesa funzionano se si fanno esercizi tutti i giorni e non un weekend sì e uno no». Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, ha commentato con toni abbastanza severi la relazione sulla spending review presentata ieri alla Camera dal commissario governativo Yoram Gutgeld. Il convitato di pietra era ovviamente il segretario del Pd ed ex premier, Matteo Renzi, le cui scelte ormai sono diventate il bersaglio preferito del titolare del Tesoro.
Effettivamente i dati presentati hanno un certo impatto (dai 18 miliardi del 2015 si è passati ai 25 dell'anno scorso, ai 30 di quest'anno e ai 35 già in cascina per il 2018). «Sono numeri che creano uno spazio fiscale importante» ha sottolineato Padoan aggiungendo che «poi sarà dovere dei policymaker usarlo in modo efficiente ed efficace». Insomma, il compito del buon governante, secondo il ministro, sarebbe quello di «tradurre i vincoli di bilancio in obiettivi, fare delle scelte, prendersi la responsabilità di farle e implementarle». È chiaro che questo identikit di civil servant non corrisponde a quello di Matteo Renzi.
Così come suona un po' stonato l'appello di Gutgeld «al governo in carica e a quello che verrà a non mollare la presa». Ma, d'altronde, a quello che una volta era il principale consigliere economico del leader dev'essere spiaciuto sentirsi bollare come «quello che ha un cognome che sembra un codice fiscale». Vuoi perché Renzi è sempre in cerca di consensi vuoi perché l'ex McKinsey è tra i renziani nella lista dei franchi tiratori del Tedeschellum.
Padoan ha esordito con un attacco ai media. «Mi auguro che non si legga più che la spending review non è stata fatta o è stata fatta male», ha detto. Eppure se ci si attenesse strettamente alle slide di Gutgeld, si noterebbe come i risparmi (indiscutibili) siano stati «dilapidati» in 24 miliardi di maggiori spese di cui oltre la metà è prestazioni sociali, cioè pensioni (12,7 miliardi). La vituperata Consip ha contribuito a minori spese sugli acquisti per 3,5 miliardi. La riduzione della pressione fiscale dal 43,6% al 42,3% del Pil è per il 50% circa effetto del bonus da 80 euro. Nel triennio 2014-2016 l'Italia è stato il secondo Paese Ocse per minore incremento della spesa pubblica (+0,2%) che comunque si è mangiata il 49,6% del Pil. Il deficit, quindi, ha divorato i risparmi.
Non
sorprendono pertanto le lamentele del presidente di Confartigianato, Giorgio Merletti, che ieri in assemblea ha chiesto meno tasse per poter competere. Padoan gli ha risposto indirettamente. È sempre colpa del policymaker.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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